Cesare Pietroiusti, in assenza di autore: una mostra in corso d’opera a Bari

di - 13 Luglio 2024

«Per molto tempo sono stato considerato un artista che non fa opere. Nel senso di qualcuno che non produce oggetti dotati di riconoscibile specificità come pitture, disegni, sculture o installazioni. Forse questo non è del tutto vero, ma è certo che l’esperienza realmente vissuta da una parte, e il racconto dall’altra, hanno una rilevanza nella mia pratica artistica che spesso supera il desiderio (o la capacità) di produrre oggetti dotati di autonomo e specifico potere estetico». Si presenta così Cesare Pietroiusti (Roma, 1954), artista relazionale, concettuale, performativo? Definizioni tutte corrette ma allo stesso tempo insufficienti a spiegare una personalità che pensa e agisce in modo trandisciplinare, contaminando la ricerca artistica con la filosofia, la politica, le scienze naturali, la sociologia, e che volutamente attraversa il mondo delle arti visive in modo trasversale: dalla produzione artistica (intesa come creazione di idee prima che di oggetti) alla curatela, dal cinema all’editoria, fino alle pratiche aggregative. Anzi queste ultime costituiscono il tratto distintivo della sua carriera.

Fin dagli inizi, infatti, Pietroiusti è stato co-fondatore di gruppi e co-autore di progetti collettivi. Laureatosi in medicina nel 1979, ha iniziato presto a frequentare lo studio di Sergio Lombardo, già allora artista di punta dello scenario romano. Con lui e altri ha fondato il Centro Studi Jartrakor. Nella seconda metà degli anni Ottanta ha dato vita al cosiddetto Gruppo di Piombino, con cui ha cominciato a sperimentare le interazioni dell’opera d’arte anche con un pubblico inconsapevole. A questa esperienza sono seguite nel 2007 Evolution de l’art, una galleria d’arte che tratta soltanto opere immateriali, e Lu Cafausu, progetto collettivo che nel 2015 ha dato origine alla Fondazione Lac o Le Mon a San Cesario di Lecce.

Nel 1996, invitato alla XII Quadriennale di Roma, ha rinunciato a esporre un’opera individuale per proporre una partecipazione aperta e collettiva ad artisti amici. L’anno successivo si è reso il principale promotore del Progetto Oreste (1997-2001) con il quale ha partecipato in seguito alla 48ma Biennale di Venezia, nella mostra internazionale dAPERTutto curata da Harald Szeemann.

Nel 2019, il MAMbo di Bologna gli ha dedicato la mostra Un certo numero di cose, la sua prima antologica, in cui, per ogni anno della sua vita, era esposto un oggetto, un gruppo di oggetti o un’opera, a testimoniare la non convenzionalità del suo tracciato artistico.

A partire dallo scorso 11 luglio e fino al 5 settembre 2024, Pietroiusti è protagonista di una nuova mostra prodotta e ospitata da Spazio Murat a Bari. Il titolo Agenti patogeni e morfogenesi del disegno. Tremila opere in fieri sintetizza percorso e modalità attuative dell’evento, in verità più un esperimento – praticato più volte dall’artista – che una mostra nel senso canonico del termine. Non un’esposizione in cui contemplare opere d’arte pensate e realizzate altrove, ma un’esposizione in cui osservare le opere nel loro farsi. Lavori determinati nel loro aspetto concreto da fattori esterni, non controllabili dall’artista, ma che questo ha scelto preventivamente di lasciar agire.

Su tre grandi tavoli, sono posizionati tremila fogli bianchi che, per tutta la durata della mostra, sono sottoposti all’azione di acqua satura di sale, di ossido di ferro (la ruggine) e Aspergillus niger (un fungo che cresce sul pane e che è in grado di attaccare e macchiare la carta). Tre fattori generalmente nemici delle opere d’arte, ma che ora l’artista elegge a co-autori, trasformandone la capacità distruttrice in forza creativa. Il 5 settembre, durante la giornata di chiusura, i disegni realizzati saranno autografati e regalati.

Non è la prima volta che Pietroiusti delega la concretezza della fase creativa ad altri fattori, come birra, vino, caffè, fumo, fuoco ed altri, senza però rinunciare in toto all’autorialità, che recupera firmando e numerando i disegni. «Il caso, l’errore, l’effetto collaterale, gli accadimenti indipendenti dalla previsione e dal controllo – ha dichiarato Pietroiusti –  possono determinare evenienze più interessanti, più significative, più belle». In ogni occasione i disegni generati “per caso” sono stati donati al pubblico ma con dei precisi vincoli indicati sui fogli stessi che ne compromettono concettualmente la proprietà e la commercializzazione.

Influenzato da Fluxus e Arte Povera, Pietroiusti mette in atto una riflessione sulle relazioni, siano esse tra persone, tra esterno e interno, tra spazio e tempo, creatore e fruitore, confondendo abilmente il confine tra l’uno e l’altro opposto. Quello da lui proposto è un disegno diverso dal tradizionale che «Non impone l’idea dell’artista ma la naturalezza del materiale adottato nel suo compiersi nell’azione dell’artista». Un modo in cui l’idea di quanto rappresentato non precede l’azione disegnatrice ma la segue.

Per questo Jens Hauser, nel suo testo critico, precisa: «Sebbene l’artista sia presente, il “lavoro artistico” sarà eseguito in sua assenza, da forze creative altre rispetto all’umano». Pietroiusti è autore di “Pensieri non funzionali”, entità intellettive che animano una pratica di tipo laboratoriale, costantemente sperimentale, in cui si stratificano materiali e storie.

La mostra di Bari è una riproposizione ampliata di un lavoro realizzato dall’artista in occasione della mostra Nowhere, evento collaterale della Biennale di Venezia del 2005, curato dalla Fondazione Olivetti.

Nato a Terlizzi nel 1980, è giornalista, critico d’arte e curatore indipendente. Dopo la laurea in Conservazione dei Beni Culturali presso l'Università degli Studi di Lecce, si perfeziona sull'Arte del Novecento all'Università degli Studi di Bari. Già cultore della materia in Museologia presso l’Università degli Studi della Calabria e docente a contratto presso l’Accademia di Belle Arti di Vibo Valentia, ha condotto studi specialistici e curato mostre per Soprintendenze, istituzioni e musei.  

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