Cesare Viel (Torino, 1964) ha il dono della parola scritta. Quella che prende peso, forma, e diventa praticamente un corpo con cui scontrarsi. Quella capace a sua volta di prendere a spallate la cortina del nonsense verbo/complemento oggetto, per portare dritta ad un lavoro sincero, in cui poetica e pratica artistica creano una sorta di comfort zone concettuale adatta a tutte le taglie. Solo uno come Viel poteva “Scrivere il giardino”.
Finzione sintetica di un pavimento verniciato in verde, dove si coltivano sentimenti veri, avvertiti, maturati e rielaborati. Questo è il giardino, un’area che ti fa scendere in campo, pedina all’interno di uno spazio sintetico quanto il terreno di un calcio balilla o di un subbuteo. Ma l’aggancio calcistico termina qui, in uno spazio che auto-annulla le norme del pallone tra le sue sezioni irregolari. Dove non vige la logica del fuorigioco, bensì la fluidità del – come scrive Viel – «Camminare nella scrittura».
Personale che si apre modello pagina pop-up, come un libero gioco di società a tiratura sociale. Ci si può divertire a spostarsi di sezione in sezione, aspettarsi di veder sbucare i Teletubbies. Si può riflettere camminando a piccoli passi, di frase in frase, avendo conferma che quel “Viel power” che ti aspetti è sempre lì, intatto nel potenziale di un artista agile nel passare dal particolare all’universale. Da una situazione di ricordo personale alla condivisione di frasi evocative in senso generale.
Di quel giardino Viel è il custode. Ha la chiave, un piatto che trasuda “altri tempi”, “altre storie” appartenute all’artista nella villa di famiglia in Trentino, dipinta sul fondo dello stesso. È il ricordo che ne contiene tanti altri. Viel l’ha volutamente sospeso nel vuoto, quasi a negarne la fisicità. Perfetto così, d’altronde un ricordo non ha fisicità.
Non un giardino qualunque. Viel non idealizza, come da prassi “fondamentalizza” ciò che trasforma in punto fermo, punto di partenza, spunto di riflessione nello sviluppo di un processo di flashback in flashback. Ambientando uno spazio preciso l’artista rievoca il suo “essere in quel giardino”, puntando tutto sul pieno potere di una parola che per prima cosa “veste”, agghindandola di figure retoriche quali ad esempio l’asindeto di «Piegare distendere tagliare per crescere» e la sinestesia «All’ombra di un suono». Quindi la lascia affiorare, bianco su verde la trasforma in contenitore senziente per memorie che vanno da “il suono della pioggia sulle foglie”, ai più pratici “rimedi dei nonni” del tipo «Le ortiche per i reumatismi delle mani». Imbattendosi anche in immagini quali «Il vecchio pero storto», riportata nella forma di una scrittura “circolare”. Come un loop-ricordo indelebile nella testa.
Tutto è così auto-graficamente e auto-biograficamente di Viel, la cui mano è riconoscibile negli scampoli di pseudo-prato ritagliati col senso “matissiano” della forma, incorniciati alle pareti. E la cui anima da performer si manifesta nel corsivo che infinitamente si materializza in proiezione tracciando la significativa frase «Qui al riparo dal vento». Quasi una sorta di firma su quanto detto, fatto e scritto.
Tutto rimanda a Viel, ma è anche il dono di un giardino metaforico, dove fare esperienze è quasi un imperativo. Un luogo-non-luogo dove ritrovare anche un po’ di sé; con semplicità, tra le aspettative verso un presente divenuto passato, e un futuro globalmente incerto sotto svariati punti di vista. A tal proposito, chi di voi non mai andato «In cerca di un quadrifoglio che porti fortuna»?
Andrea Rossetti
mostra visitata il 14 febbraio 2020
dal 7 febbraio al 21 marzo 2020
Cesare Viel – Scrivere il giardino | Pinksummer contemporary art
Palazzo Ducale – Cortile Maggiore 28r
Piazza Matteotti 9 – 16123 Genova
Orari: da martedì a sabato, ore 15.00 / 19.30
Info: tel. +39 0102543762; info@pinksummer.it; www.pinksummer.com
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