Who knows one, letteralmente «chi sa che cosa è il numero 1» richiama una filastrocca per bambini del 1500 ca. contenuta nel testo ebraico dell’Haggadah, un compendio di omelie rabbiniche e racconti folkloristici che spinge l’individuo a interrogarsi sul senso dell’esistenza.
Le basi ludiche su cui poggia la mostra sono chiare da principio, si stringe tra le mani un’opera senza saperlo: è Holding in Luigi Di Maio’s pee for him di Darren Bader, un’opera di arte relazionale pura che sublima il suo numero uno nella brochure della mostra. L’inglese Helen Marten continua il percorso con Untitled, una litografia unita a collage e pittura che riafferma la creatività umana nel mondo della materia da macello.
Poi si scorgono i grovigli di Untitled (in parallel) del greco Miltos Manetas. I cavi del web, dei modem, degli smartphone diventano creatività, mezzo di propagazione dell’arte, anzi sono arte. I rocchetti di Sentinel #1 dell’inglese Nancy Shaver intrecciano tessuti dalle texture familiari e oggetti di uso quotidiano, plasmando sculture inusuali; mentre con la stampa cromogenica April 11, 2019 (hangman F U C K), la fotografa americana Gwen Smith nobilita la libertà espressiva dell’arte mediante l’uso di una tecnica pregevole. Chiude il ciclo Untitled (C/S) di Joe Winter, una lastra asimmetrica intessuta con filo per ricamo e cotone. È il tessuto il filo conduttore di questo spazio.
Nel terzo ambiente Eran Schaerf, israeliano stabile a Berlino, modella il linguaggio come una materia scultorea. Le tavole di compensato di The Lead #3 e The Lead #5 sono coperte da criptici stralci della vita umana. I lavori di Zerek Kempf e Agnieszka Kurant proiettano in un’atmosfera sospesa: The Dukes è una scultura in alluminio del dorso di un volatile con la testa immersa nel muro, Air Rights 6 una scultura di pietra in polvere che, sospesa tramite elettromagneti, testimonia un’assurda precarietà. La bellezza dell’arte non immediata si eleva nelle Lachrimae Antiquae XII–XIV di Susan Philipsz. Una singola lacrima che cade, il suono che produce e l’emozione che l’ha scaturita sono qui immortalate con il sale su tela.
Peter Kogler ci fa letteralmente girare la testa. Untitled è una stampa digitale estesa a carta da parati, una trama optical la cui osservazione prolungata è opera di coraggiosi. Che sia arte relazionale anche questa? Al suo fianco Domestic Support, il rotolo di carta igienica ricamata di Joe Winter e la scultura longilinea di Kenji Fujita Untitled (Statue) realizzata con materiali considerati sacrificabili colmati di nuova fierezza.
Seguono sei lavori dal sapore social-politico. Su tutte Bicephalic, la bandiera bisex del collettivo Slavs and Tatars. I colori della bisessualità sono rivolti alla Russia, abile come l’aquila a due teste del suo stendardo a guardare ad ovest e ad est, a sé e all’altro, ma non agli ideali di libertà e uguaglianza. L’artista concettuale Joseph Kosuth ripropone la serigrafia Number (E) (+216 Augustine’s Confessions) del 1989, dove le parole non dicono ciò che la mente afferra anche grazie a una semantica tautologica dalle infinite interpretazioni. Il franco-israeliano Moshe Ninio proietta il visitatore nel Medioriente con le due stampe Hole/Patch, nella prima un tessuto è forato al centro, nella seconda il foro è eliminato tramite un’opera di ritaglio. Sulla parete adiacente Magali Reus e Gwen Smith rievocano uno spirito rissoso d’altri tempi. Il cartello di divieto della Reus è illusorio e la sua familiarità inganna. Ad esso si aggiungono resina, acrilico e viti, per un risultato alienante. April 28, 2019 (Stop bitching and make art) della Smith è una stampa cromogenica di protesta contro chi crede di fare arte senza farla. Che cos’è quindi l’arte? Il maestro Ettore Spalletti punta sulla condivisione: l’arte è relazione, a ciò non si può che brindare con un bicchiere in foglia d’oro su onice.
Ora sorprende l’ermetismo. Una TV proietta Vertical Take-Off di Zerek Kempf, in cui al percorso di un sole finto segue l’ascesa al cielo di un uomo. La terza stampa di Gwen Smith, January 5, 2018 (tattoo of the world/ the justice project) è un’immagine simbolica delle potenzialità comunicative dell’arte, mentre l’artista visiva Rachel Harrison modella una scultura totemica verde, Casabella. Il riuso creativo di materiali di scarto si erge ad antidoto del consumismo, anche artistico. Con Gesamtkunstwerk il cileno Alfredo Jaar crea una scatola luminosa in cui campeggia il termine tedesco. Per Wagner la massima espressione della Gesamtkunstwerk, in italiano “opera d’arte totale”, era l’arte teatrale greca, in cui convergevano musica, drammaturgia, poesia e arti figurative. Astraendo il concetto Jaar lo eleva ulteriormente.
La video installazione Sneeze di Mika Rottenberg mostra uomini che starnutiscono conigli e bistecche, come l’Andrée di Cortázar vomitava conigli. Cos’è l’arte se non follia? Liam Gillick rifiuta la convezione applicata alla creatività e Why is produced è una domanda esistenziale che riempie una parete e le coscienze affidandosi all’estetica della parola. Anche gli ambienti domestici possono restituirci istantanee degne di un’esposizione, così Steel Stillman, nella stampa a pigmenti TV, trasforma uno schermo televisivo in uno scatto lunare. Perché oggi l’arte non si preclude nulla. È bella, incuriosisce e strappa più di un sorriso, senza motivo.
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