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Chi è Claire Tabouret, l’artista che realizzerà le nuove vetrate di Notre Dame de Paris
Arte contemporanea
La pittrice e scultrice francese Claire Tabouret ha vinto il bando per il rifacimento delle vetrate di Notre Dame a Parigi. Ad annunciarlo in conferenza stampa, nell’imminenza della riapertura della storica cattedrale, sono stati il presidente Emmanuel Macron e l’arcivescovo di Parigi, Laurent Ulrich. L’Eliseo e l’arcidiocesi parigina hanno sottolineato «La grande qualità dei progetti» dei candidati partecipanti al concorso: Jean-Michel Alberola, Daniel Buren, Philippe Parreno, Yan Pei-Ming, Christine Safa, Gérard Traquandi e Flavie Vincent Petit.
Classe 1981, nata a Pertuis, Tabouret vive e lavora a Los Angeles e, per questa occasione, ha realizzato un progetto per delle vetrate contemporanee che andranno a sostituire le preesistenti: infatti verranno messe al posto di sei delle sette vetrate che si trovano nelle campate della navata sud della Cattedrale, risalenti al XIX secolo, opera dell’architetto Eugène Viollet-le-Duc.
La notizia ha suscitato non poche polemiche sin da quando Macron diede l’annuncio, a dicembre 2023. Le vetrate antiche si sono salvate dall’incendio e sono già state restaurate con i finanziamenti dei donatori, inoltre sono riconosciute come monumenti storici. Le nuove opere di Tabouret, che dovrebbero essere inaugurate nel dicembre 2026, costeranno al Ministero della Cultura quattro milioni di euro (esclusi i costi di rimozione delle vetrate esistenti), secondo Philippe Jost, direttore dell’ente pubblico responsabile della conservazione e del restauro di Notre Dame.
Claire Tabouret lavorerà con i più antichi laboratori di vetrate ancora in funzione a Reims: quelli del maestro Simon-Marq, fondati nel 1640. Durante l’annuncio ufficiale, l’artista francese ha sottolineato il suo intento di voler rendere omaggio a Viollet-le-Duc. Il progetto infatti si basa sull’idea di una meta-vetrata, “una vetrata nella vetrata”.
In primo piano l’artista pone dei personaggi intenti in preghiera. Sullo sfondo, invece, dei motivi astratti che non seguono pedissequamente i precedenti ma ne conservano «Ciò che resta della memoria visuale». Tabouret ha realizzato delle fotografie a bassa risoluzione delle vetrate durante i cantieri di restauro e, una volta tornata in studio, le ha stampate a grandi dimensioni. Le immagini erano chiaramente sgranate. Attraverso un lavoro di decoupage dei motivi ritrovati, ha stampato nuovamente e riprodotto su un foglio di plexiglass il cosiddetto “monotipo”. La fantasia non era l’originale ma questo processo fatto di stadi differenti conserva in sé «Un’erosione di forma».
L’idea si rivela quasi come l’impressione di galleggiare sull’acqua, quando tutto diventa dolce dopo il movimento dell’onda, afferma l’artista. Si crea così un parallelismo tra quel segno immanente che l’acqua non potrà mai lasciare e quella luce che per anni con i suoi colori e riflessi ha illuminato allo stesso modo gli ambienti della cattedrale.
Non è un caso che la sua storia inizi con l’acqua. L’artista stessa ha rivelato che, per lei, il dipingere è come immaginare un’isola. I suoi primi lavori sono paesaggi acquatici diurni o paesaggi notturni, sempre riflessi nelle acque. Di questa produzione, la serie Maisons Inondées, iniziata nel 2008, è quella che le ha conferito maggiore notorietà da giovane. In questa produzione la pittrice mette in discussione l’idea di luogo di protezione: le case fluttuano in cerca di una nuova stabilità in uno stato precario.
Un concetto analogo viene trasmesso attraverso la serie più recente Migrants in cui rappresenta i migranti, con riferimento a quelli del Mediterraneo, considerato il legame che l’artista ha con la città di Marsiglia, luogo storicamente caratterizzano da grandi tensioni geopolitiche. Nella sua pratica Tabouret esplora con forza il tema della memoria partendo sempre da immagini d’archivio che però modella introducendo la sua esperienza personale.
A oggi il suo lavoro si focalizza sulla ritrattistica, vissuta dal singolo o in contesti di gruppo, affiancata a una costante ricerca nell’autoritratto. I soggetti da lei rappresentati siano essi uomini, donne o bambini, sono muti e statici, una staticità ben percepibile dalla postura, come quella tipica che spesso i bambini adottano a riposo e che per l’appunto non è una posa artificiale, bensì non curante di come essa possa apparire allo sguardo altrui.
Ci si ritrova così a metà strada tra l’impressione di essere di fronte a un che di familiare o, all’opposto, di qualcosa di sconosciuto, che non ci appartiene affatto. Spesso le sue opere sono coperte da un primo strato fluorescente ma ammantate da toni scuri o acidi che conferiscono un maggiore senso dell’enigma e del dubbio.
Le opere di Tabouret sono presenti nelle collezioni del Centre Pompidou (Parigi, FR), della Bource de Commerce (Parigi, FR), della Collection Lambert (Avignone, FR), del Madre (Napoli, IT), del LACMA (Los Angeles, USA), di ICA (Miami, USA) ed altri musei in tutto il mondo.