8.008 sono i chilometri che dividono Brescia da Pechino, capitale della Cina. Una distanza considerevole che, grazie all’innovazione tecnologica, viene ridotta alla portata di un click o di una chiamata. Tuttavia, a causa della situazione politica, questa distanza non è stata solo chilometrica ma anche economica-culturale fino alla metà degli anni ‘80. Da questo momento in poi, grazie alla dichiarazione della Open Door Policy, la Cina ha iniziato a interagire con il resto del mondo. Questa apertura, oltre a favorire gli scambi commerciali, ha consentito agli artisti cinesi contemporanei di influenzare ed essere influenzati dalla cultura occidentale, permettendo di creare un’arte che combini le due culture.
Nello spazio CARME a Brescia, dall’1 giugno fino al 3 settembre 2023 sarà visitabile la mostra “CHINA NOW”. Progettata dalle associazioni culturali BELLEARTI E CARME, la rassegna si compone di oltre 30 opere, esposte per la prima volta in Italia, provenienti da una delle più importanti collezioni di arte cinese contemporanea al mondo, quella dello svizzero Uli Sigg, collezionista e ambasciatore negli anni ottanta in Cina. L’obiettivo della mostra è quello di evidenziare le tendenze, le tematiche e trasformazioni della società cinese attraverso gli occhi degli artisti contemporanei.
Lo spazio Carme, ex chiesa Ss. Filippo e Giacomo sconsacrata, fa da cornice suggestiva a questa rassegna di opere provenienti dalla Sigg Collection. Le due grandi tele di Liu Wei introducono il tema della mostra intera: la correlazione simbiotica tra Oriente e Occidente. Fan Shao e Gu Wenda ripropongono in chiave moderna l’antica tecnica cinese della pittura ad inchiostro. Attraverso una pittura contemporanea, invece, Ma Ke porta sentimenti di critica verso l’establishment politico cinese. Critica e provocazione che ritroviamo nelle opere di Jin Shan, Gabriele Di Matteo, Tian Wei e Gu Changwei.
Fraintendimenti materici e discrepanza tra ciò che vediamo e ciò che pensiamo di vedere sono invece le caratteristiche delle opere di MadeIn Company. La parte centrale dello spazio viene fagocitata da una scultura-ambiente di He Xiangyu. Essa rappresenta il risultato di un’azione, durata un anno, in cui l’artista ha fatto bollire centoventisette tonnellate di Coca-Cola per poi esporre i residui come metafora visiva dell’influenza dell’Occidente sulla Cina. Ai WeiWei, invece, decostruisce un tavolo della dinastia Qing per poi riassemblarlo in una scultura animata.
Menzione d’onore per l’ultima sala della mostra in cui è presente The Second Seal, un’opera video di Kin-Wah Tsang. Parte di una serie di sette installazione digitali, lo spettatore viene calato in un “profondo rosso” in cui frasi animate sulla morte, sulla vita, sulla condizione umana, e brevi accenni biblici appaiono ripetutamente, in sottofondo un rumore si erge sempre più forte fino all’epifania in cui nessuna parola è più riconoscibile ed il rumore è assordante. A questo punto, il nostro io interiore è spiazzato, sperimenta emozioni troppo forti da poter essere delineate, viene catapultato in un’altra dimensione, fino a quando il rumore cala e le frasi riappaiono comprensibili. Siamo morti un istante per poi resuscitare. Dopo un epifania tale ci “accorgiamo” della nostra vita, dei suoi problemi e delle sue complessità, capendo però che è unica e degna di essere vissuta.
La comunicazione visiva delle opere supera la capacità dialettica dell’uomo. Esse parlano da sole, usando un linguaggio fatto di colori e materiali comprensibile a tutti. L’impossibilità di comunicazione tra gli uomini nata a Babele si chiude con l’arte, il linguaggio universale. Queste opere ne sono l’esempio.
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