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Claire Fontaine, la bellezza è (anche) un antidepressivo: la nuova opera a Verona
Arte contemporanea
Claire Fontaine ha 20 anni e l’urgenza di affrontare le tematiche più stringenti della sua epoca, con dotti neologismi o con emoticon in 3D. I suoi complici sono i suoi due assistenti (e maestri) che l’hanno generata a Parigi nel 2004: Fulvia Carnevale e James Thornhill. Claire Fontaine mescola la cultura dei padri e delle madri con lo spirito del tempo. Cita il femminismo di Carla Lonzi, è cosciente delle teorie queer di Paul Preciado e, soprattutto, da artista radicale, fa sua la pittura quanto l’intuizione di Marcel Duchamp. L’oggetto-già-fatto, di cui la firma dell’artista (o del suo pseudonimo Richard Mutt) cambia la percezione, da infimo banale ad avanguardia da ammirare, diventa un concetto-già-dato, in tutta la sua pluralità, che spetta al mondo guardare con occhi nuovi. La giovane Fontaine, dal cognome che riecheggia quel cigno-fontana nato “brutto” orinatoio, fa dunque suo anche l’abusato termine di “Bellezza” e lo tramuta in un nuovo “alert” luminoso: BEAUTY IS A READY-MADE (2024).
«La bellezza è un’idea e come tale può mutare, è instabile», certifica Gabriella Belli, a cui si deve l’approdo di Claire Fontaine a Verona. Pochi giorni fa, infatti, la scritta a LED tridimensionali rosa è apparsa nel cortile di Palazzo Maffei, che ospita dal 2020 la Collezione Carlon, allestita scientificamente dalla stessa Belli. L’artista collettiva concettuale femminista ha presentato la nuova acquisizione con «Un appello ai giovani ad avvicinarsi all’arte», secondo la madrina dell’evento Vanessa Carlon: un DJ set e un aperitivo informale previsto per la festa della donna.
«Non si tratta di un’insegna pubblicitaria – precisano Fulvia e James alter-ego di Claire -, il cui fine è la seduzione retinica; al contrario volevamo far sentire il pubblico implicato: la nostra è una forma di ready-made non passivizzante». In ciò si riattiva il gesto di Marcel Duchamp: è l’artista che sceglie l’oggetto e lo capovolge, ma è il museo che lo espone e il pubblico che ne decodifica i livelli di lettura, instancabilmente, all’infinito.
Non paga, Claire – ovvero Fulvia e James nel loro «Spazio di desoggetivizzazione» – si è appropriata poi de La Bagnante ottocentesca di Alessandro Puttinati, allievo del Thorvaldsen, al centro del cortile d’ingresso di Palazzo Maffei. «Lì posizionata – ricorda la direttrice Vanessa Carlon – in memoria del ninfeo con Nettuno voluto nel Seicento da Rolandino Maffei», oggi rievocato con la statua dello scultore veronese. «La donna che si sveste, eccitando i sensi, diventa dominatrice degli sguardi altrui – dichiara il collettivo Claire Fontaine – grazie al posizionamento sulla base più elevata che abbiamo aggiunto per completare l’installazione luminosa». «Si genera così un dialogo tra antico e moderno che è il pensiero di fondo del percorso museografico» chiosa Belli.
Posare parole sulla storia è il talento con cui è nata Claire Fontaine. Nel 2020, al Museo del Novecento di Firenze, ha dialogato con le terrecotte invetriate dei fratelli della Robbia, illuminandole del loro stesso blu in SIAMO CON VOI NELLA NOTTE (2007); nel 2019, il collettivo ha installato il suo FOREIGNERS EVERYWHERE (STRANIERI OVUNQUE, 2005) sulle pareti di Santa Maria dello Spasimo a Palermo. Aveva solo un anno di vita nel 2005 Claire Fontaine, ma sapeva già articolare il nome di quella sua opera, che per la prima volta nel 2024 (grazie al primo curatore queer della storia, Adriano Pedrosa) darà titolo e indirizzo a un’intera Biennale di Venezia, dove esporrà anche Fontaine, nel Padiglione dello Stato del Vaticano.
A Verona, l’icastico ready-made 3.0 denuncia ancora una volta un mondo violento, competitivo, dominato dai social media, che ci raccontano l’inganno dell’individualismo, condannandoci a solitudine e depressione. Dove la pornografia è il mezzo di presentazione di sé, e l’individuo è portato ad auto-oggettivizzarsi, così anche l’artista sembra destinato ad auto-mediatizzarsi e a competere con ferocia. Quale orizzonte contrapporre quindi alla prima forma di possesso, quella sul corpo della donna, e al patriarcato che ha generato la follia del capitalismo sfrenato? Come “sputare su Hegel” oggi, come invitava a fare Lonzi nel 1970? In una lettera aperta, scritta al plurale da Fulvia e James nel 2017, i Claire Fontaine si appellano al visitatore: «Sappiamo che l’estraneo, il passante darà un senso alle nostre opere d’arte, attraverso la grazia della sua curiosità e della sua apertura, creando lo spazio in cui le cose diventano possibili». I muri del museo sembrano rivolgere all’Arte come a una figlia la celebre esortazione di Claire: SENTITI LIBERA; perché dunque non potremmo fare lo stesso con la nostra Vita, sullo sfondo di un’alba rosa?