Oggi che la Terra soffre per il cambiamento climatico, e noi con lei, i temi dell’ambiente sono diventati drammaticamente più sentiti da tutti. Eppure, da tempo l’arte porta l’attenzione all’emarginazione della natura dalle nostre vite, all’agire antropico sconsiderato, alla complessità delle relazioni che intratteniamo con i nostri paesaggi e ai sentimenti che li permeano.
Claudia Losi è stata una delle prime a essersi dedicata pienamente all’esplorazione dei concetti di paesaggio, al complesso rapporto tra modernità e natura, in particolare alla percezione dell’ambiente intorno a noi e al labile confine tra contesto naturale e antropizzato. Una ricerca importante, realizzata lungo l’ultimo ventennio, che ha rappresentato come poche l’anima dei luoghi, le trasformazioni e le difficoltà che li attraversano, l’azione poetica del recupero e il valore resiliente della memoria delle cose.
Nella Rocca Roveresca di Senigallia l’artista ha inaugurato a inizio giugno un nuovo significativo capitolo dal titolo Oltre il giardino, iniziato due anni fa con una serie di workshop sull’interpretazione del concetto di “luogo naturale” tra Singapore (NTU-Centre for Contemporary Art), Gerusalemme (Hansen House e Bezalel Academy of Arts and Design) e Urbino (Accademia di Belle Arti), dai quali sono emersi contributi visivi e narrativi particolarmente interessanti se si tiene anche conto dell’eterogeneità naturale e culturale dei tre diversi contesti.
I risultati di questo lavoro hanno ispirato l’artista nella creazione di un inedito, la scrittura-disegno di un testo collettivo nella forma di un prezioso tessuto jacquard lungo 15 metri, che ricorda nei segni e nei colori un grande graffito tessile, una mappa poetica dei pensieri e delle emozioni da decifrare, nella quale perdersi in un gioco di ricerca e di proiezione del proprio immaginario sul paesaggio.
Come gli Aborigeni cantano le loro vie nel deserto australiano, Losi ha fatto qualcosa di straordinario, ha trasformato in una materia artistica ancestrale (l’arte della tessitura) le parole delle persone, le loro percezioni sull’essere dei luoghi intessendoli dentro una geografia inconsueta di trame e orditi simbolici dai significati individuali e collettivi. Immagini che acquisiscono spessore tattile, materialità e una soffice dimensione poetica.
Davanti a questo incanto – installato nella sala finale della mostra – riecheggiano alcune delle riflessioni filosofiche più profonde e intelligenti sul rapporto tra l’uomo e l’ambiente scritte da Gaston Bachelard nel suo libro La poetica dello spazio, dove parla della natura quale immaginazione della materia e di una poetica dei materiali che compongono non solo l’architettura ma la vita come la viviamo.
Leonardo Regano, curatore del progetto e della mostra “Being There. Oltre il giardino” – prodotti dalla Rocca Roveresca (istituto della Direzione Regionale Musei delle Marche) – racconta il senso profondo del lavoro: “L’aspetto più incredibile di quest’opera è la sua capacità di farsi racconto, a partire proprio dal suo essere un grande “rotolo” che ricorda nelle sue forme la stesura di un libro sacro medievale. I disegni e le scritte essendo leggibili chiaramente solo a una certa distanza, costringono a mantenere una visione di insieme che però non è vincolata da nessuna tipologia di convenzione formale: non c’è nessun verso di lettura, né un sopra né un sotto; tutto scorre libero come un flusso mentale.”
L’arazzo rappresenta l’approdo conclusivo di un percorso temporale e simbolico che ha origine nella prima sala della mostra. Qui l’opera Marmagne (1999-2000) – la gigantografia in bianco e nero di un luogo campestre, pressata a caldo su tela e ricamata – è appoggiata al muro come una finestra aperta sul paesaggio, un’apparizione improvvisa dell’elemento natura dentro un luogo-simbolo del progetto umano sul mondo (la Rocca Roveresca). Nella stessa sala, non lontano, questa relazione è amplificata dalla scultura Ossi (2019), composta da tre grandi costole animali realizzate con terra d’Impruneta e ferro, incrociate in modo tale da ricordare un riparo temporaneo primordiale, e anche un piccolo tempio sacro. L’immagine di un presente naturale reale (Marmagne) e la memoria ancestrale dell’essere delle cose e dei luoghi (Ossi) trova qui un confronto eccellente portandoci a percepire il senso del nostro esistere tra natura, storia e memoria.
Nella seconda sala, che precede l’arazzo, il racconto visivo si arricchisce di riferimenti suggestivi e immaginifici rappresentati da oggetti quotidiani verosimiglianti sparsi nello spazio. Sono piccole sculture in alluminio e cartapesta della serie Cose che sono cose (2015), raffiguranti degli utensili da cucina vetusti, rovinati dal tempo e colonizzati da licheni.
La forza del lavoro di Claudia Losi risiede anche nella sua immensa capacità di coinvolgere nei suoi progetti saperi e competenze di altri mondi creando una rete corale di collaborazioni proficue e felici, che fanno della sua arte una pratica extra-territoriale di connessioni professionali, intellettuali e relazionali. Come la collaborazione con il centro di ricerca sul tessile Lottozero di Prato e con l’azienda Aròmata di Pistoia, che l’hanno coadiuvata nel processo di produzione dell’arazzo; e il CIMeC–Centro Interdipartimentale Mente/Cervello dell’Università di Trento e Rovereto, con il quale ha iniziato un dialogo di carattere transdisciplinare tra arte e neuroscienze.
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