03 maggio 2021

La memoria delle immagini: Spazio Testori riparte da una doppia personale

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Spazio Testori riparte da "Collasso Analitico”, doppia personale di Giulia Bruno e Micol Roubini, curata da Daniela Persico, incentrata sulla narrazione della memoria, attraverso il potere delle immagini

Rappresentazione visuale della voce.Laboratorio di Fonetica Sperimentale, Università degli Studi di Torino, 24.11.2019, ©Giulia Bruno

Due artiste cosmopolite, entrambe originarie di Milano ma con percorsi diversi che, però, dopo aver attraversato il territorio comune del linguaggio cinematografico, si incontreranno a Casa Testori, dal 4 maggio al 4 giugno. Lo spazio di Novate Milanese riapre finalmente le porte e, dopo diverse settimane di attività online, presenta “Collasso Analitico”, mostra di Giulia Bruno e Micol Roubini, curata da Daniela Persico.

Pocket Pair: gli artisti e i curatori del progetto di Casa Testori

La doppia personale rientra nell’ambito di “Pocket Pair”, progetto espositivo sostenuto da Fondazione Cariplo e coordinato da Marta Cereda che ha visto alternarsi curatori e artisti, scelti tra i talenti emergenti più interessanti.

Puntando sull’incontro, sulle inedite possibilità espressive scaturite dal dialogo, il format prosegue con coerenza il corso di Casa Testori che, da oltre dieci anni, ha invitato artisti e curatori a esercitarsi con la libertà, ospitando nel proprio spazio progetti eterogenei, senza vincoli contenutistici o formali.

Nel suo ciclo, avviato nel 2018, la rassegna ha messo alla prova sei curatori: Alberto Zanchetta, Carlo Sala, Alessandro Castiglioni, Ivan Quaroni, Giulia Zorzi, Irene Biolchini, e la stessa Persico. Questi gli artisti invitati, prima di Bruno e Roubini: Nicola Samorì, Matteo Fato, Filippo Berta, Christian Fogarolli, Alessandra Ferrini, Jacopo Rinaldi, Silvia Argiolas, Marica Fasoli, Alessandro Roma, Eemyun Kang, Fatima Bianchi, Ilaria Turba.

Collasso Analitico: viaggio attraverso le immagini, lungo il tempo

Nel caso di “Collasso Analitico”, la matrice identitaria è però rigorosa ed è rintracciabile, appunto, nel medium dell’immagine in movimento, che scandisce l’itinerario visivo della mostra, incentrata sulle diverse declinazioni e sfumature del concetto della memoria, dall’esperienza individuale alla lunga e tortuosa eredità del secolo appena trascorso. «Che cosa è una casa se non il luogo in cui si ritrova la propria lingua natale?», spiega Persico, critico cinematografico, programmer e curatrice di rassegne per i più importanti festival europei, da Locarno a Berlino.

Micol Roubini, Veglia, still da video 2019

«Le due artiste, Giulia Bruno e Micol Roubini, non hanno paura di scandagliare questioni nevralgiche del Novecento, legate alle proprie storie personali, per arrivare ad interrogare il presente – tra situazioni geopolitiche complesse – con la memoria di ciò che è stato. Un percorso in due progetti artistici, che prendono forma in istallazioni, film e fotografie, e ci parlano di un “collasso” (quello legato all’Olocausto e quello della fine dell’universalismo) che non possiamo dimenticare», continua la curatrice, che ha ideato la mostra per questa occasione.

Fotografa e filmmaker, da anni collaboratrice stretta di Armin Linke, attualmente di base a Berlino, Giulia Bruno ha attraversato il globo alla ricerca di un’utopia legata alla storia familiare: l’Esperanto. Lingua capace di riconnettere diverse nazioni varcando le frontiere, ma anche lingua della resistenza, rinata in Paesi non allineati, creando nuove comunità in nome di un progetto di universalismo.

Da un’antica fotografia di una casa e da una lista di oggetti è partito il viaggio di Micol Roubini, artista visiva e filmmaker. Seguendo le tracce lasciate dalla testimonianze conservate nell’appartamento milanese di un nono fuggito dall’Ucraina dei Pogrom, rifugiato in Russia e infine approdato in Italia, Roubini ha attraversato l’Europa, ripercorrendo le tappe del Paese dell’Est che, in cent’anni, ha cambiato cinque volte identità nazionale e che ora sta vivendo una delicata fase di transizione.

«Ci vuole dedizione e analisi, sembrano suggerirci i lavori delle due artiste (tanto diverse nei risultati, quanto simili nelle metodologie di lavoro): bisogna lanciare delle sfide ambiziose e affrontarle con la giusta modestia, bisogna prendersi il tempo di cercare e offrire lo spazio all’altro per raccontarsi, a volte serve inventarsi una nuova lingua, altre volte recuperare una lingua madre da sempre soffocata», ha raccontato Persico. «Il campo entro cui tutto avviene è quello dell’immagine in movimento, la più forte nel mettere a tema la relazione tra chi filma e chi è filmato, in grado di segnare un viaggio nella scoperta del mondo per imparare a definire (seppur per un attimo precario) se stessi».

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