Anversa è una città ricca e culturalmente ambiziosa. Nel distretto di Wilrijk, a pochi chilometri dal centro, c’è il museo di sculture all’aperto “diffuso” in ettari di verde. È il Middelheim Museum, fondato nel 1950, che negli anni ha raccolto un’impressionante collezione che va da Auguste Rodin, con, tra le altre, una statua di Balzac, a Erwin Wurm, con una barca che sembra un delfino a pancia in su con la deriva al posto della pinna dorsale. A differenziare le opere permanenti da quelle temporanee sono i colori delle targhette piantate nel terreno (verdi per le sculture in permanenza, rosa per quelle temporanee). Gestire un museo all’aperto, che nel tempo si è trasformato da set per opere decorative, statue e monumenti, ad habitat per installazioni che dialogano sempre più col parco, non è semplice. Mentre passeggiamo incontriamo giardinieri, tecnici, tutte figure atte a conservare e a tutelare la ricchezza di quel luogo, sia in termini artistici che naturalistici
«Con COME CLOSER — ci spiega Sara Weyns, direttrice del museo — gli artisti sfidano il rapporto tra opera, artista e pubblico. In alcuni casi hanno chiesto ad altri artisti di collaborare con le loro opere. In Belgio gli artisti sono messi in una sorta di “isolamento eccentrico”. Dalla destra sono visti come parassiti della società». E questo ce lo racconta alla vigilia delle elezioni Europee.
Quegli artisti invece hanno contribuito e continuano a rendere quel museo di sculture all’aperto — tra i più antichi al mondo — un’esperienza eccezionale. COME CLOSER. Encounters in Sculpture and Performance nasce in collaborazione con un altro spazio cittadino pubblico molto attivo: DE SINGEL, sorta di Barbican Centre belga, in cui si promuovono più discipline: danza contemporanea, musica, teatro e architettura. La prima collaborazione tra le due istituzioni risale al 2012 e l’idea di far entrare la performance nel parco di sculture e nella sua collezione ha avuto avvio nel 2009 con l’opera Beam Drop di Chris Burden.
Come si sono rapportati col parco gli oltre venticinque artisti internazionali invitati? E soprattutto come hanno reso le loro opere attivabili? L’inglese Roger Hiorns (classe 1975) ha rianimato un’opera creata in precedenza con un giovane performer nudo che col suo corpo affusolato rende “fluido” un vecchio motore di un aereo da guerra, diventando a tratti un’unica entità. Un’opera che mette in relazione la durezza e la rigidità industriale della macchina con la vitalità e il calore del corpo umano, la staticità di un oggetto con la vita fisica, la giovinezza con l’obsolescenza. Hiorns ha anche creato un’installazione con due grandi bidoni industriali che, una volta attivati, si riempiono di schiuma che dopo poco fuoriesce copiosa. I visitatori sono invitati ad avvicinarsi, a interagire e a giocare con la schiuma — per la gioia dei bambini — che, diamo per scontato, sia 100% biodegradabile, visto che poi finisce nel suolo e probabilmente nella bocca di ragazzini e ragazzine.
Sembrano aver interpretato alla lettera il tema del progetto il duo, nel lavoro e nella vita, Sarah (classe 1981) & Charles (classe 1979), con Puppetry & Puppets del 2022. Si tratta di un piccolo, scarno e bianchissimo teatro per burattini pronto all’uso. I visitatori possono attivare quel dispositivo scenico con uno spettacolino per loro stessi o per chiunque si trovi a passarci davanti. Ad aver forse sottovalutato il contesto in cui avrebbe collocato le sue opere è l’artista polacca Zuzanna Czebatul (classe 1986) coi suoi monoliti giganti, versioni XXL di droghe da party popolari. Sono strutture gonfiabili che necessitano di una costante fonte energetica per stare in piedi. Un dispendio energetico inutile che però l’artista ci tiene a precisare che corrisponde al consumo di tre frigoriferi. Tra le opere più meditative, la Mirror Room III Outdoor, 1968-2024: si tratta del lavoro dell’americana Joan Jonas (classe 1936) che ha “portato” tra i rigogliosi faggi del parco un’istallazione nata per l’interno. Tra gli specchi, che amplificano la forza debordante della natura, un video racconta alcune sue azioni storiche e pioneristiche che come ci suggerisce Pieter Boons, del team curatoriale, «sono performance effimere che qui hanno nuova vita». Tra le azioni più politicamente rilevanti troviamo le bandiere nere sventolate per ore della coreografa e performer Ula Sickle (classe 1978). Bandiere nere come simbolo di protesta e resilienza dove il gesto individuale si fa responsabilità collettiva e universale.
Dopo un lungo tour nel parco accompagnati dalla direttrice del museo — con grande umiltà e sano pragmatismo ci svela che col suo team si occupa anche di raccogliere gli escrementi degli animali che popolano il parco — ammirando le centinaia di opere in permanenza (di, tra gli altri, Marino Marini, Roman Signer, Luciano Fabro, Antony Gormley, Franz West, Dan Graham, Andrea Zittel, Atelier Van Lieshout, Rossella Biscotti, Camille Henrot), ci spostiamo a DE SINGEL. Di fronte a uno degli edifici dell’imponente complesso architettonico l’artista nigeriana Temitayo Ogunbiyi (classe 1984) ha realizzato una sorta di playground dove le sculture diventano strutture per far interagire i bambini, e alcune aree verdi, con la collaborazione di un architetto del paesaggio, sono state trasformate in piccoli giardini edibili. Si tratta, ci racconta Hendrik Storme, direttore artistico di DE SINGEL, di 700 metri quadrati di asfalto convertiti in superfice verde. «Il mio desiderio», ha affermato l’artista, «è che ogni persona trovi un momento di silenzio e di pace in questo terreno ora fertile». L’opera ambientale rientra nel più ampio progetto del circuito d’arte “On Sculpture, fatto di installazioni permanenti, ed è collocata non molto distante dall’installazione monumentale Ballard Garden di Dominique Gonzales-Foerster del 2014: una suggestiva e malinconica piscina vuota, sporca e consumata dal tempo e sei giganti piedistalli in cemento.
Durante la serata abbiamo assistito a una serie di performance tra cui la nuova pièce To Bloom () Florecimiento della cilena Amanda Piña (classe 1978), artista, curatrice e coreografa che ha messo in scena una “performance installativa”, secondo le sue parole, che, partendo dai movimenti delle antiche specie animali che vivono nell’oceano, parla di correnti oceaniche, di triangolazioni attraverso l’acqua (America, Africa, Europa), di migrazioni, di sconsiderate estrazioni di risorse preziose. E invita gli spettatori, che si trovano letteralmente catapultati in mezzo all’azione dei perfomer (studenti e studentesse dell’Accademia Reale di Belle Arti di Anversa e l’artista stessa), a tornare a contatto con la natura, cercando di preservarne la biodiversità.
Anche se non strettamente parte del progetto COME CLOSER, parla di migrazioni, delle difficoltà di integrazione ma anche della forza degli scambi culturali e di ricchezza delle tradizioni, la straordinaria videoinstallazione a tre canali di Julianknxx dal titolo Chorus in Rememory of Flight ospitata nell’Expo Hall di DE SINGEL. È il frutto di un anno di incontri con cori, performer, attivisti e figure chiave delle comunità nere attraverso un lungo viaggio in Europa. «If you do not unlearn racism (se non disimpari il razzismo)» si legge sullo schermo «You might miss the love of your life (potresti perdere l’amore della tua vita». Un bel monito per il Belgio, per l’Europa e per l’ondata dell’estrema destra e dei nazionalismi.
La mostra al Middelheim Museum (fino al 29 settembre 2024) è a entrata libera. Le performance e gli incontri, di cui la maggior parte a ingresso libero, si tengono nel parco (prevalentemente) e negli spazi di DE SINGEL. Per le date e gli orari nei prossimi weekend, consultare il sito www.comecloser.be
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