26 marzo 2025

Come raccontare uno studio d’artista: il progetto del collettivo damp a Napoli

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Installazioni, performance, suoni, immagini e parole, per raccontare luoghi vicino e lontani, sovraccarichi di vissuto: il progetto all’Atelier Alifuoco di Napoli, sede dello studio del collettivo damp

studio collettivo damp
Collettivo damp, Opaca, veduta dell'installazione, Napoli, 2025

Una finestra che non illumina, da cui non passa aria, si affaccia sul torbido cavedio che abbraccia lo studio del collettivo damp – il gruppo di artisti formato da Alessandro Armento, Luisa De Donato, Viviana Marchiò, Adriano Ponte – che, in dialogo con Ermanno Cristini, ha ospitato, presso un locale di 16 metri quadri dell’Atelier Alifuoco di Napoli, il progetto dal titolo Opaca, dove nove personalità tra artisti, scrittori e poeti — cyop&kaf, collettivo damp, Simona Da Pozzo, Massimo De Caria, Viola Lo Moro, Simona Pavoni, Mario Francesco Simeone, Marco Vitale — sono intervenute nello spazio dello studio.

Collettivo damp, Manifesto, 2025, courtesy l'artista
Collettivo damp, Manifesto, 2025, courtesy l’artista

Un brevissimo concentrato espositivo che, il 13 marzo 2025, ha visto il pubblico “incastrarsi” tra se stesso, gli artisti e lo spazio. La breve durata dell’incontro rafforza la poetica che torna in molte delle installazioni: aspettative disattese, momenti effimeri e imperfetti, luoghi ristretti ma “pieni di vita piena”. Così, alcune delle opere fuggono allo sguardo, si nascondono o scivolano via. Il collettivo damp, su questa linea, inaugura sul fondo della stanza il proprio Manifesto, ininterrottamente riscritto da una macchina CNC sull’instabile superficie della metilcellulosa, dove ogni grafema si disperde ancor prima che sia compiuta la sua leggibilità.

studio collettivo damp
Opaca, Ermanno Cristini, Dispositivo binario per camminare l’orizzonte, Simona Da Pozzo, Komorebi, Massimo Da Caria, Quadro, veduta della mostra, Atelier Alifuoco, Napoli, 2025

Nelle immediate vicinanze, guardare è possibile ma a determinate condizioni: Massimo De Caria dona al pubblico un piccolo specchio con cui osservare un Quadro che, però, è capovolto contro la parete, con un sottile respiro di appena pochi centimetri. In questa fessura di doppia costrizione – imposta allo spazio e alle volontà – si realizza all’istante una mappatura degli sguardi: alcuni cercano con insistenza un’immagine, altri si annoiano in fretta, altri ancora cominciano a sperimentare con lo specchio. La sequenza delle possibilità condizionate dall’artista rievoca, inoltre, ciò che il critico francese Nicolas Bourriaud teorizzava in Estetica Relazionale (1998), secondo cui, in determinate circostanze espositive, l’atto stesso della fruizione del pubblico può diventare materia artistica e a tratti performativa.

In uno spazio ideale non troppo distante, Ermanno Cristini, artista, docente e curatore, ha lavorato diverse volte a partire dalla formula relazionale dell’open studio, ospitando varie “intrusioni” presso gli studi d’artista. Oltre al contributo ideale, Cristini interviene attraverso Dispositivo binario per camminare l’orizzonte, un sistema ready-made in equilibrio perfettamente piano, testimoniato dalla livella che fa da corona alla composizione. Le suggestioni emergono anche dalla costruzione del titolo, che riporta, ancora una volta, a una dimensione immersiva, al camminare “dentro” le cose e non su di esse.

Mario Francesco Simeone, L’amour fou

Mentre un manifesto si scioglie in un confinato orizzonte sul pavimento, su di una parete L’amour fou di Mario Francesco Simeone scorre verticalmente oltre i ristretti margini di uno smartphone; un testo intriso di odori, suoni e trame tattili, che raccontano la percezione dell’autore modulata dallo spazio dell’atelier. La modernissima tela di vetro e terre rare che retroillumina queste parole è alimentata da una risorsa finita, una piccola powerbank, quanto basta per assicurarne la sopravvivenza nelle poche ore di lettura programmate.

L’esercizio della memoria riposa all’ombra temporanea di Komorebi, di Simona Da Pozzo: un telo ombreggiante, come una veste scura, ripete la sagoma di un albero del corallo (Erythrina Caffra) e ne custodisce, tra le pieghe, una singola foglia e un frammento di corteccia. Il termine giapponese komorebi (木漏れ日 – “la luce che filtra attraverso le foglie degli alberi”) si fa nuovamente testimone della meraviglia effimera, quella destinata a scomparire nel giro di pochi istanti e che non concede distrazioni.

cyop&kaf, Il Segreto

Altri alberi, invece, si “illuminano” di una lesiva e controversa luce, testimoniata dall’obiettivo equanime di cyop&kaf che rincorre il lungo peregrinare, tra i Quartieri Spagnoli di Napoli, di alcuni bambini alla ricerca di alberi natalizi da raccogliere, custodendo segretamente il motivo di questo accumulo. Il Segreto (2013) è rivelato alla fine del documentario, che qui è proiettato sulla parete più imperfetta dello studio, quella che — nel bene o nel male — racconta la storia del palazzo che ospita l’Atelier Alifuoco; e questa storia, neutra nel giudizio delle imperfezioni, riecheggia nel filmato in mostra.

Viola Lo Moro, Tangenziale

È la vita imperfetta, “quella vera”, fatta di oggetti sgraziati e consumati, di aria pesante e connotata, che Opaca racconta con affetto. Un racconto che si ripete in Tangenziale di Viola Lo Moro, un estratto dalla raccolta di poesie Luoghi Amati (2022) che coincide con la frequenza emotiva di un vivere “viziato”, con la memoria olfattiva che rivive nei luoghi che “sanno di chiuso” ma, inevitabilmente, anche di ricordi; di una finestra che almeno una volta al giorno tenta invano di “cambiare l’aria” che, al tramonto, torna satura del vissuto a cui partecipano l’umano, l’umidità e tutti gli ospiti, viventi e non viventi, graditi o meno.

Nel desiderio di far “respirare le pareti umide”, Simona Pavoni pratica oltre duecento piccoli fori su una parete dello studio, attraverso un pattern complesso, simmetrico e ordinato; gli innumerevoli respiri di Holes si affannano in una geometrica coreografia, che prova a porre rimedio agli effetti della grande finestra delle negazioni, responsabile dell’aria opacizzata e della luce rarefatta.

Simona Pavoni, Holes

Al termine dell’incontro, l’effimero investe ogni anima presente porgendo all’ascolto dei presenti la voce del collettivo damp, intervistato da Marco Vitale sul tema della morte/rinascita. Le risposte sul tema della reincarnazione — Un platano, un neon, un ficus, un’alga — intitolano la performance, mentre tutte le altre camminano nella mano dell’artista, che offre intimamente lo smartphone all’orecchio degli spettatori. Un monito, ancor più profondo, ad accogliere, elaborare e osservare la transitorietà della (stra)ordinaria vita comune, delle luci che mutano e si sottraggono, del sublime irripetibile e di noi altri.

Marco Vitale, un platano, un neon, un ficus, un’alga

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