Il primo delicato gesto pensato da Inuuteq Storch, insieme alla curatrice Louise Wolthers, per il Padiglione Danimarca della 60ma Biennale Arte di Venezia, può essere osservato – o passare inosservato – all’esterno dell’edificio. Una scritta in plexiglass rosso recita “Kalaallit Nunaat”, nome indigeno della Groenlandia, giustapposta su quella che solitamente indica la nazionalità danese del padiglione. Così il più a Sud tra i Paesi scandinavi affida il proprio spazio, presso i Giardini della Biennale, al fotografo di origini kalaallit, per un progetto intitolato Rise of the Sunken Sun, narrazione contemporanea e passata degli effetti che le mire coloniali danesi hanno avuto su Kalaallit Nunaat.
La mostra si compone di sei serie fotografiche, le quali, attraverso i molteplici supporti scelti per enfatizzarne gli elementi tecnici e narrativi, si distribuiscono originalmente in tre sale, rievocando la terra che l’artista vive tutt’oggi.
Aprono l’esposizione gli scatti più recenti, risalenti al periodo del Covid-19, parte di Necromancer. Inuuteq si rifà alle origini magiche spesso associate alla fotografia nel periodo in cui venne inventata, tentando di sublimare le informazioni sulle coordinate temporali e geografiche, deducibili dalle immagini, tramite l’esaltazione del contrasto. Gli elementi bianchi, sulle fotografie in bianco e nero, vengono esasperati e successivamente rimossi nel processo di stampa su plexiglass trasparente. Rimangono le ombre proiettate sulle pareti dalla luce a cui non è permesso oltrepassare le zone scure delle fotografie.
Chiudono il percorso la proiezione di alcune immagini recuperate dagli archivi storici di famiglia dell’artista. Oltre al legame estremamente personale che si può intuire dalla presenza di questi scatti amatoriali fra le opere di Inuuteq – il quale, sottolinea, fotografa spesso con strumenti regalati dai familiari – si evince una ricerca concettuale che annichilisce quella estetica, evidenziando, in Sunsets of Forgotten Moments, le differenze socioeconomiche dei nonni dell’artista: un prete e un falegname.
L’allestimento di Rise of the Sunken Sun comprende due interventi installativi i quali, senza essere invadenti, possono insegnare qualcosa a quelle mostre fotografiche che provano a coinvolgere – o non lo fanno affatto – elementi scultorei scarsamente strumentalizzati nell’esaltazione della materia prima bidimensionale.
Il primo, quello più ludico e meno funzionale, consiste in alcune amache poste esternamente al padiglione, sulle quali è possibile sdraiarsi per osservare una lunga stampa della veduta scattata dal balcone della casa di Inuuteq, a Sisimiut. Il secondo, all’interno, è una struttura a semicerchio costituita da due specchi e un fascio di luce rossa che li separa. Simbolicamente richiama al sole che sta sorgendo rappresentato sulla bandiera della terra dei kalaallit, nelle tinte bianche e rosse che la contraddistinguono. Strumentalmente, invece, ha il complesso compito di coinvolgerci all’interno di alcuni processi di attivazione delle opere che vi si riflettono.
Da un lato si specchiano le 22 immagini che, incorniciate all’interno dei lightbox, compongono At Home We Belong, la prima serie di Inuuteq scattata a Sisimiut. Sulla superficie riflettente avviene il diplomatico incontro tra l’osservatore e gli svariati soggetti kalaallit. Questi ultimi sono catturati in contesti tendenzialmente aperti, urbani e naturali, in un sequenziale adombrarsi delle fotografie in bianco e nero; in pratica, l’arco di una giornata dalle prime luci del mattino alle ultime serali, allegoricamente, l’allusione al susseguirsi ciclico di stati mentali luminosi e oscuri.
Sul versante opposto i rapporti che si instaurano sono duplici. Mirrored, composto da 37 immagini scattate dal primo fotografo professionista kalaallit – John Møller – si relaziona con le altrettante fotografie che costituiscono una selezione parziale di Keepers of the Ocean, un ritratto informale dell’artista. La specchiatura permette alle immagini storiche riflesse, distanti dal visitatore e dai nostri tempi, di attivarsi, triangolando la contaminazione interculturale che si crea fra John Møller, Inuuteq Storch e i visitatori del padiglione.
È facile che le opere situate al centro di Rise of the Sunken Sun, le quali compongono Soon Will Summer Be Over, richiamino visivamente la disposizione articolata delle fotografie che spesso viene adoperata per le mostre di Wolfgang Tillmans. Le opere del fotografo kalaallit e quelle dell’eclettico autore tedesco comunicano, pur appartenendo a generazioni e territori diversi. Entrambi hanno rivolto il proprio obbiettivo verso amici e conoscenti, esplorando identità culturali e relazioni interpersonali con una sensibilità vicina: il primo rappresentando il sorgere della cultura kalaallit oggi, il secondo le sottoculture fiorite in Europa e negli Stati Uniti durante gli anni ’90.
È in conversazione con Hans Ulrich Obrist che Tillmans enuncia il suo interesse nell’istante in cui qualcosa diventa visibile, parlando di Mercurio, osservabile solo in due brevi momenti, prima e dopo il tramonto. I due fotografi sono accomunati dalla capacità di cogliere il frangente di tempo nel quale un’espressione culturale è più dirompente, svelando, nel caso di Inuuteq, il riaffiorare di un’identità nazionale oppressa per due secoli.
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