Una mostra che si compone definitivamente a ridosso della sua fine. Un susseguirsi di paesaggi che germinano nel silenzio della zona rossa e arancione di un Veneto che paga i precedenti successi nella lotta al virus, proprio sul nascere della primavera. Uno scrigno, quello di Palazzetto Tito, in cui con cadenza regolare e volutamente permeabile trova pian piano la sua forma âCome trattenere lâenergia che ci attraversa. Paesaggiâ, interamente a cura di Stefano Coletto. Un modo discreto, elegante e sottile che costituisce il conduttore di unâenergia, appunto, in grado di accendere di nuovo quello che non sempre riesce ad entrare nello spettro del visibile.
Si parte i primi di marzo con Fabio Roncato e Silvia Mariotti, rispettivamente con un video che fa del mare un cerchio nero ricamato da onde che ipnoticamente definiscono un vuoto siderale, e uno sguardo profondo e nero che scalfisce il buio di caverne e foibe. A cadenza settimanale, mentre su prenotazione la mostra è visibile ogni giorno, si aggiungono i paesaggi successivi, collocando abilmente nello spazio artisti il piĂš delle volte giĂ passati per le cubature della Bevilacqua La Masa negli anni passati. Lo spettatore volenteroso, che non viene risucchiato dalla porta aperta dello spazio espositivo ma vuole consapevolmente far parte del processo, può misurare il dipanarsi dellâallestimento recandosi direttamente sul posto o seguendone lo sviluppo on line. Ă cosĂŹ che ai primi artisti si aggiungono, nellâordine, Silvano Tessarollo e Francesco Jodice; Marina Ballo Charmet; Davide Quayola e Maria Teresa Sartori; Namsal Siedlecki e Alberto Scodro; Alberto Tadiello; Elana Mazzi. La composizione finale è una tramatura di sguardi interni alla natura stessa, priva di figure umane, fredda e vibrante al contempo, capace di costruire un perturbante che si innesta proprio nellâidentitĂ grandiosa di fenomeni indagati al microscopio, o cristallizzati da una visione estetizzante che li rende misteriosamente inaccessibili e attraenti.
Agisce cosĂŹ il cactus galvanizzato e reso eterno, pur nel suo inesorabile deperimento, di Siedlecki che fa da contrappunto alla pozzanghera dâacqua di Tessarollo. Affacciate su due sale diverse, le due foto di Jodice che si presentano contigue se guardate dalla giusta prospettiva e che ritraggono i paesaggi immoti di una Capri sospesa tra memorie pittoriche e riflessioni politico filosofiche a cavallo tra Ottocento e Novecento. I pixel di Quayola che sgranano paesaggi bianchi in bilico tra virtuale e reale. Un lento incedere che porta allâultima opera, quella di Elena Mazzi, a parlarci di un progetto complesso, A Fragmented World, tratto dalla teoria delle fratture di Bruno Giorgini e concretizzatosi nella serie Fractures(s), tasselli di unâEtna studiata e ritratta per il suo essere potente monito per lâumanitĂ .
Un ritmo di lavori che compongono un universo preciso, un universo che si è formato piano piano con una cadenza dettata da un oggi in grado di farsi laboratorio espositivo e allestitivo.
La mostra, che ha acquisito la sua forma definitiva solo oggi, 26 aprile, sarĂ visibile fino al 9 maggio.
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