Un progetto corale che si interroga su paesaggio, eredità e trasmissione di saperi e vissuti grazie alla collaborazione degli abitanti dei paesi di Pascelupo e Scheggia, in provincia di Perugia: è il progetto del collettivo Common Wealth. Contemporary Art Research and Creation Residency. Nato da un’idea dell’artista italo-lussemburghese Claudia Passeri e premiato con la borsa Bert Theis, Common Wealth prende vita attraverso un eterogeneo gruppo di lavoro formato da «artisti e teorici di nazionalità e orizzonti diversi: artisti visivi, musicisti, fotografi, architetti, editori, critici d’arte, geografi, giuristi ed economisti»: Guillaume Barborini, Laurianne Bixhain, Antonio Brizioli (Emergenze), Sergio Carvalho & Philippe Nathan (2001), Benoit Delzelle, Estelle Evrard, Pietro Gaglianò, Saskia Gevaert, Nataša Grujović & Steve Kaspar, Enrico Lunghi, Claudia Passeri, Eve Satagarski, Mariette Schiltz, Raphaël Van Lerberghe. Dopo le fasi di progettazione collettiva, Common Wealth a luglio si è insediato per tre settimane a Pascelupo e Scheggia per un periodo di residenza in cui la popolazione è stata attivamente coinvolta in varie attività. Ora una mostra, visitabile fino al 31 agosto in vari luoghi dei due paesi, racconta gli esiti “visibili” dei progetti svolti con la cittadinanza, che saranno in seguito presenti anche in Lussemburgo.
Ne abbiamo parlato con Claudia Passeri e Pietro Gaglianò, critico d’arte esperto di arte e sfera pubblica.
Come è nato il progetto?
«Common Wealth nasce da un’idea dell’artista italo-lussemburghese Claudia Passeri, da sempre impegnata in progetti di taglio relazionale, incentrati sulla percezione della comunità, sulle narrazioni collettive sul valore politico dell’arte. Claudia e suo marito, Benoit Delzelle, hanno invitato artisti visivi, musicisti e teorici di varie discipline a confrontarsi su questi temi, con uno specifico riferimento alla storia e alle condizioni del comune di Scheggia e Pascelupo, Perugia. Qui Claudia ha ereditato alcuni terreni dai nonni e qui è tornata a vivere, da poco tempo, interrogandosi sulla continuità e sulle contraddizioni di termini come proprietà, eredità, condivisione. Ne è scaturito un progetto che è stato da subito corale e che si è aggiudicato, tra gli altri sostegni, la borsa Bert Theis (del Fondo Culturale Nazionale del Lussemburgo) intitolata a un grande artista, lussemburghese ma attivo in Italia, che è stato un pioniere nel suo impegno nella sfera pubblica».
In che accezione con Common Wealth vi riferite al “bene comune”? Perché un progetto di questo tipo per questo territorio?
«Il bene comune è quello della cultura sociale sedimentata attraverso le generazioni attorno a un baricentro mutevole quanto ineludibile: la comunità fatta di spazi pubblici e privati, di linguaggio, di usi, di memorie. Un bene comune che per sopravvivere deve essere malleabile, sottoposto a critiche, alle revisioni portate dai nuovi abitanti e dal cambiamento di quelli storici. Scheggia è una piccola e densa comunità, che soffre i mali di tutti i piccoli centri dell’area appenninica, in primo luogo la crisi demografica. I suoi abitanti sono vivaci e determinati a rivitalizzare il centro storico, a valorizzare alcune tradizioni ma anche, come abbiamo scoperto in quasi un mese di residenza, anche pronti a riscoprirsi attraverso le direzioni indicate dai linguaggi contemporanei».
Che tipo di relazione si è instaurata con il territorio? Come è stata coinvolta la popolazione locale e che tipo di attività sono state proposte sul territorio?
«Quando un gruppo di creativi e teorici arriva in un posto come Scheggia il coinvolgimento della comunità è inevitabile e spontaneo. I musicisti Steve Kaspar e Nataša Grujovic hanno realizzato performance e installazioni musicali di grande impatto, Guillaume Barborini ha lavorato sulla propria posizione di alieno, creando una serie di azioni in cui il pubblico è intervenuto, con curiosità e ironia. Estelle Evrard, una geografa, ha guidato un laboratorio sulla percezione dei luoghi, vivacemente partecipato, i cui esiti sono visibili in uno degli spazi commerciali, chiusi da tempo, che abbiamo riattivato come luoghi espositivi. Pietro Gaglianò ha tenuto un incontro pubblico, come spesso fa, in cui ha usato i linguaggi dell’arte per parlare dei temi della comunità assieme ai suoi protagonisti. Un altro progetto ha restituito agli abitanti le memorie del passato storico: una serie di scatti realizzati nel piccolo museo archeologico locale la cui apertura è attesa da tanto, In attesa della memoria. Claudia Passeri ha esposto il corredo preparato dalla nonna (eredità materna), stendendolo nei campi (eredità paterna) e distribuendo negli spazi del centro i fiori recisi per far posto alle lenzuola in modo di evocare l’ineguaglianza inerente a questi modi di trasmissione e al ruolo dell’individuo in questa catena di successioni».
Le installazioni e le mostre saranno visibili fino ai primi di settembre. E dopo?
«Attorno a queste azioni e alle altre di Laurianne Bixhain, Antonio Brizioli, Sergio Carvalho & Philippe Nathan, Estelle Evrard, Saskia Gevaert, Enrico Lunghi, Mariette Schiltz, Rahaël Van Lerberghe, c’è un lavoro di documentazione, testimonianza ed elaborazione teorica che convergerà nel catalogo. Il prossimo anno il catalogo e una parte delle opere presenti a Scheggia verranno presentati in Lussemburgo. Ma il seguito più importante è sul territorio, nel desiderio espresso dagli abitanti e dalle istituzioni di rinnovare il progetto nei prossimi anni. Ci stiamo già lavorando…».
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