Dove sta il quore?
Tra le gambe dice inequivocabilmente Ren Hang. Una ragazza lo traccia col rossetto e lui la fotografa. Il corpo di quella ragazza lo troviamo nei corpi di tutte le ragazze e i ragazzi che popolano le foto della mostra. Multipli intrecciati o ritratti uno a uno. L’idea è quella di una riproducibilità infinita, del corpo come un oggetto a perdere, un oggetto seriale che serve l’immagine. Uno o tanti, maschili, femminili, identici.
Labbra rosse, capelli lunghi neri, ciliegie. Moltitudini fissate in uno scatto. Lo scatto come summa di un lungo lavoro preparatorio, come ritratto di una performance per un istante immobile. I corpi sono in posa ma non posano. In questa naturalezza desunta consiste lo smembramento dello sguardo. Gli occhi di chi guardiamo ci catturano, sono diretti, senza equivoci, come se la posa che sostengono non li riguardasse.
È la performance a scattare nella testa di chi guarda: cosa succede? Cosa sta facendo la persona nella foto? Cosa mi succede mentre guardo?
Inizia un rapporto, fatto del cortocircuito tra il proprio corpo e quello nell’immagine. Questo secondo me significa attivare la performance nella mente di chi guarda, attraverso i neuroni specchio.
Sono corpi puri, efebici, famelici di qualcosa che non assaggeranno mai, quelli fotografati da Ren Hang, quelli diretti da lui. Sono foto disarmanti, ammantate di malinconia, accompagnate da poesie, piccoli haiku che congiungono natura e cultura, si parla di amori mancati per minuti, di capezzoli che si trasformano in ciliegie o acini d’uva. Dolci, luccicanti. In bocca, trattengo la saliva.
Una colomba sorge come una testa sopra a un paio di natiche che diventano spalle.
Un Magritte capovolto? Un Mapplethorpe tenero, animale? Un Wolfgang Tillmans messo a fuoco?
I corpi tremano, i corpi temono, il vuoto li attira, i volti eternamente impassibili. Lo squallore della loro stanza è sfondo silenzioso, affatto minaccioso. Le cose succedono lì, semplicemente, e Ren Hang ce le racconta per immagini, ci mostra quello che vede nella sua testa. Dà corpo a visioni.
Grovigli complicati per darsi un bacio, incredibile delizia incastrata sopra e sotto i grandi rami degli alberi. Ancora natura e cultura, le ragazze penzolano, molli come pipistrelli ma nude e chiare, di nero c’è solo un ombra tra le gambe. Oppure spuntano come fiori tra grandi foglie, accolgono spighe come terra.
Poi l’ombra di una mano proiettata dal sole sul pube di una di loro.
Il desiderio è intonso. La performance scatta nella mia testa.
Lui che proietta l’ombra del desiderio, la toccherà? L’ha già toccata? È una carezza o un colpo? Perché lei aspetta nuda per strada come se niente fosse?
Noi – comuni mortali – non andiamo in giro così. Chi è lei? Una dea? Un’idea?
È incredibile la transumanza di pensieri che si libera durante il pasto dell’occhio.
Giovanissimi. Incredibilmente attratti da un frutto o da un fiore. Unghie e labbra laccate di rosso, quelle femminili esplodono su corpi che si innestano sugli alberi, diventano scogli, sorgono come fiori tra le foglie. Natura e cultura s’incontrano continuamente, è difficile dire dove una comincia e l’altra finisce. Forse nello scatto, che definisce la performance e perfeziona l’azione di un corpo fissandola in un istante eterno. Qui sta secondo me il rapporto tra performance e fotografia, nell’indurre un’azione nella testa dell’altro: chi chi osserva, cerca significato ed esplode la fissità del movimento.
Piccole foto orizzontali ci rivelano l’autore che scatta tra i fiumi, nei boschi.
Finché arriviamo sui tetti, sull’orlo massimo della città, quello in alto, quello che ha sotto il vuoto, dove i corpi si scambiano baci davvero melanconici.
Il vuoto e il pieno, la performance nel ritaglio e nell’intaglio dei corpi, nel corpo complice dello spettatore che deve tutto sporgersi e raccapezzarsi per capire cosa sta succedendo. Sopra sotto e di fianco. Dove inizia e dove finisce il corpo, il corpo di chi?
Il corpo catturato dallo sguardo. La performance si svolge due volte: nella messa in scena dell’artista e nel labirinto che si svolge nella testa di chi guarda.
Il climax nell’incontro dei due, la scoperta, l’intuizione svelata. La purezza e la sapienza delle scelte di Cristiana Perrella hanno congiunto immagini e dimensioni creando tritici, cluster e combinazioni in un gioco di rimandi in bilico tra eros, natura e malinconia riflesse nelle poesie brevi di Ren Hang.
Nudi siamo noi che guardiamo.
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