«L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà: se ce n’è uno è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiano stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e approfondimento continui: cercare e saper riconoscere che e che cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio». Un’armonia leggera di parole per delineare un pensiero che scava nelle profondità, al di là dei tempi e degli spazi. Solo Italo Calvino – e pochi altri – era in grado costruire complesse strutture di significati in questo modo così completo, stabile, limpido, poetico. E sono proprie le sue parole, prese da Le città invisibili del 1972, a riecheggiare tra le strade di Beirut, città che, per Antonello Ghezzi, dà una risposta – o molte – alla domanda “Cosa non è inferno?”. In occasione del centenario della nascita dell’immenso scrittore, il duo formato da Nadia Antonello e Paolo Ghezzi ha recentemente presentato un nuovo intervento nella capitale libanese, un progetto diffuso che ne attraversa le strade e poi approda negli spazi espositivi della Galerie Tanit, storica galleria fondata nel 1972 a Monaco da Naila Kettaneh-Kunigk e Stefan Kunigk.
Cosa non è inferno? Si legge in arabo, inglese, francese e italiano, su una serie di cartelloni pubblicitari, eretti tra i grattacieli di Beirut. È la stessa città, come contesto metropolitano denso di stratificazioni culturali e storiche, ad ampliare l’eco della domanda, che suona come un’espressione senza tempo ma che, nella cronaca più attuale, assume una risonanza ancora più urgente e drammatica. Nelle Città invisibili, il protagonista Marco Polo conversa con l’imperatore Kublai Khan, mentre i confini tra l’inferno e il quotidiano si confondono. Ed è questa la sfumatura suggerita dalle domande impresse sui cartelloni e intercalate, come una parentesi, in un coro di voci e suoni metropolitani, tra automobili, muezzin e campane.
«Per noi è stato particolarmente toccante portare le parole di Calvino in una città a cui siamo affezionati, una città densa di caos, suoni e umanità che potrebbe essere inclusa tra le Città invisibili», ci ha raccontato il duo. «Ma non è una città invisibile, tutt’altro, una città dove fervono tante culture, speranze, sogni potenti che rispondono già da soli alla domanda che abbiamo posto nelle tre lingue più parlate nella città -arabo, francese e inglese- e nella lingua originale nella quale è stata scritta. Siamo partiti pochi giorni dopo i fatti del 7 ottobre e abbiamo avuto paura che fosse pericoloso andare in Libano ma alla fine siamo partiti. Una volta lì abbiamo vissuto con i libanesi le preoccupazioni e lo sconforto di questo smisurato massacro dei civili a Gaza e abbiamo creduto che, anche in questo momento buio, l’arte e la letteratura, siano non certo risolutive ma di conforto per non perdere le speranze e per immaginare un futuro senza conflitti».
Il progetto prosegue nella Galerie Tanit. Qui le riflessioni di Antonello Ghezzi si manifestano come opere impregnate di quella grazia tipica della letteratura Calvino. Tra vivaci tecniche miste su carta e piccole pitture su frammenti di marmo bianco di Carrara, l’invito, ancora una volta, è al pensiero, alla ricerca, alla curiosità, conservando la leggerezza dello spirito.
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