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Cosa resta da celebrare quando la festa è finita?
Arte contemporanea
“Semel in anno licet insanire”. Questa massima latina si aggira nelle nostre menti annebbiate da post-Natale e bagordo del fine anno, ricordandoci che, da buone formichine, adesso ci attende in periodo di silenzio e lavoro, interrotto solo dal Carnevale, in cui è “lecito” andare un po’ fuori di testa. Eppure THE FEST: Between Representation and Revolt, la bella e intensa mostra da poco inaugurata al MAK di Vienna, a cura di Brigitte Felderer, che accompagnerà la sua attività fino ai primi giorni di maggio, ci racconta il contrario, ovvero della esigenza profonda che noi tutti abbiamo, individui e collettività, di festeggiare, celebrare, rompere gli schemi, perdere il controllo, mascherarci, svanire rispetto all’universo di regole sociali e obblighi a cui siamo costantemente sottoposti consapevolmente.
Festeggiare sulla fine del mondo
Non è un caso che la mostra sia stata immaginata all’inizio del 2021, ovvero in quel momento storico in cui tutti noi uscivamo lentamente da quella pandemia che ci ha chiusi in casa e ci ha fatto temere la vicinanza e il contatto dell’altro. Alcuni amici mi raccontavano che, durante la guerra civile in Libano negli anni novanta, si tennero alcune delle feste più memorabili mai vissute a Beirut. Il senso della morte e della fine di un’epoca che accompagnava quei momenti rendeva ogni evento più intenso, come se fosse l’ultimo prima di lasciare la propria esistenza. E tutta questa importante mostra sembra giocare sottilmente su questa dimensione di profonda ambiguità in cui, nel momento di massima follia condivisa, si celebra anche l’attimo, quello che sta già svanendo e l’impossibilità di vivere all’infinito un momento di assoluta rottura e bellezza. La morte è dietro l’angolo in ogni festa, soprattutto in quel senso di disperata malinconia che ti accompagna quando hai appena lasciato un evento che ti ha sedotto e travolto.
Il desiderio della festa al MAK di Vienna
Ma la festa è anche un complesso e inatteso universo di creazioni e progettazioni che rendono possibile e abitabile il desiderio di chi l’ha voluta. Questo è uno dei temi che emergono con maggiore chiarezza nell’esposizione anche perché l’intelligenza di questo evento è legato sia alla scelta del tema, come celebrazione della fine pandemica, che alla capacità di attingere al poderoso sistema di materiali presenti nell’importante archivio del MAK. Più di 650 oggetti, stampe, opere d’arte, costumi, fotografie, modelli popolano lo spazio espositivo disegnato da Peter Sandbitchler, e la maggior parte dei materiali arriva, appunto, dal museo stesso, a dimostrazione di una tendenza museografica sempre più evidente che sta spingendo le istituzioni a rileggersi, partendo dal proprio patrimonio e re-inventandolo ogni volta. Non si tratta di una semplice operazione di attenzione economica e gestionale, ma del bisogno che ogni istituzione dovrebbe avere di guardare alla propria identità, rileggendola con una prospettiva differente. In questo il MAK è stato maestro, visto l’intenso lavoro svolto a partire dagli anni 90’ tra curatori e artisti per ripensare il ricchissimo patrimonio di oggetti e materiali legati alla storia del design e delle arti applicate austriache; è un DNA che non viene tradito e che si rinnova, come dimostra questa recente esposizione fortemente voluta dalla sua direttrice Lilli Hollein.
THE FEST, la mostra al MAK di Vienna
La struttura della mostra stessa è un viaggio, mai didascalico, tra materiali spiazzanti per cronologia e qualità, che incrocia la nostra storia in un crescendo che ha portato la festa dall’essere una chiara rappresentazione del potere delle elites fino all’esplosione popolare e democratica del secolo appena passato e del presente, in cui la massa delle persone diventa il vero protagonista. La mostra ti accoglie con due eventi eccezionali: le celebrazioni di un matrimonio imperiale avvenuto a Vienna il 26 agosto del 1571, e documentato da un inedito libro della festa prodotto dal Maestro di Cerimonia Heinrich Wirri, oltre che dalle stampe di Giuseppe Bibbiena, il progettista del sogno che si avvera. Mentre sullo sfondo un video ci sorprende per i costumi sforzosi prodotti per la festa di Charles de Bestegui, proprietario delle miniere di argento in Messico e committente di artisti e architetti, che ospitò la festa intitolata “Ballo orientale” a Venezia nel 1951, in cui star di Hollywood, industriali, intellettuali e politici vennero invitati da tutto il mondo per celebrare una notte magica officiata dal genio di Salvador Dalì.
L’eccesso nella mostra del MAK di Vienna
Follia, ricchezza, distanza dal mondo reale, città, arte, creazione, cibo stravagante, mascheramento, abiti eccessivi e preziosi, corpi, tutto e molto altro si mescola in una festa per trasformare un attimo capriccioso e fragile in un evento capace di trasformarsi in memoria permanente di una comunità. Dalle feste eccessive e memorabili si passa attraverso l’arte dei centro tavola con una eccentrica reinterpretazione in ceramica del contemporaneo Thomas Horl, le varianti sul tema dell’Arlecchino, re indiscusso delle feste, gli abiti e gli arredi dell’eccesso e dell’attimo fuggente, veri capolavori di ricerca sperimentale e formale che consente a stilisti, sarti e artisti di creare in assoluta libertà, spingendo l’asticella dove la normalità non lo consente.
La ribellione e il senso politico della festa
Poi le feste seguono la storia dell’Austria cuore d’Europa, passando dalla serie di celebrazioni delle Weiner Werkstette fino alle feste popolari e collettive della Repubblica socialista nata dopo il crollo dell’Impero e celebrazioni di quelle conquiste sociali che i capricci imperiali sembravano ignorare. La festa del nuovo secolo è politica, rivolta, rivoluzione, ribellione in cui la moltitudine dei corpi diventa nuova forma della città e di quei luoghi che sembravano abbandonati. Lo dimostra tutta la recente sequenza delle Primavere arabe e Occupy, i bellissimi Pride, fino alle adunanze ecologiste delle generazioni più giovani che ridanno senso alla centralità che gli spazi pubblici hanno nella vita democratica di ogni società. La mostra si muove per vicinanze e contrasti per raccontare il tema della festa come un potente e irrequieto laboratorio creativo e sociale da indagare con attenzione e sui cui riflettere in un tempo dominato più dalla paura che dalla voglia di celebrare e reinventare il presente. Questo credo sia la sollecitazione principale che dobbiamo portarci a casa dopo essere stati al MAK. Cosa vogliamo essere in futuro? Come riportare corpi, rivoluzione e città al centro perché diventino materia instabile e liberante per i nostri desideri di futuro? Forse non è il caso di scandalizzarsi per i rave o i gesti arrabbiati e consapevoli contro le pareti del Palazzo del Senato, ma interrogarsi sulla rabbia e il disagio. Forse dovremmo interrogarci sul perché le libere forme di gioiosa e rumorosa assemblanza spaventano il potere contemporaneo al punto da generare reazioni rabbiose, violente e castranti. Oggi non dobbiamo chiudere le porte e le finestre ma ripopolare le piazze, non per l’ennesima sagra della salsiccia, ma per eventi capaci di riportare nell’aria simboli e immaginari che devono esplodere tra di noi per materializzare un tempo nuovo. Nella società dello spettacolo, costruita per accogliere il perfetto cittadino-consumatore, quelle che sembrano mancare sono le vere feste e quei momenti di libertà dissidente, creativa e sociale, che non sembrano più possibili nella dimensione attuale. In un tempo buio, pesante, moralista e falsamente bacchettone, consumista e drammaticamente conformista, credo sia importante riconquistare la dimensione erotica dello spazio e la sua capacità di accogliere le differenze e il dialogo delle idee e dei corpi per generare nuove opportunità in cui trovarsi, dialogare e costruire diversità solidale e sostenibile.
PS. La mostra è accompagnata da un libro prodotto dal MAK e Birkhauser di altissima qualità grafica e tematica grazie ai saggi di Brigitte Felderer, Werner Oechslin, Chiara Baldini, Rainald Franz e tanti altri autori che partono dalle materie della mostra e le rileggono con una serie di saggi e contributi tematici intelligenti e ben strutturati.