Intelligenza artificiale, dieci burattini futuristi di Enrico Prampolini, la ricostruzione filologica di Pietro Verardo degli “intonarumori” di Luigi Russolo: sono alcune anticipazioni della mostra Il Tempo del Futurismo alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma, che occuperà, tra poche settimane, 26 sale, quasi 4mila metri quadrati di superficie, con oltre 350 opere d’arte e 150 fra libri, manifesti, riviste e oggetti scientifici, provenienti da circa 80 prestatori. Ne parliamo con il curatore, Gabriele Simongini, in questa intervista.
È confermata la data di apertura del prossimo 2 dicembre?
«Certamente, la mostra si inaugurerà il 2 dicembre in corrispondenza con l’ottantesimo anniversario dalla scomparsa di Filippo Tommaso Marinetti, il 2 dicembre 1944».
Quale ambizione ha la tua mostra?
«Quella di contestualizzare i capolavori esposti in una sorta di “sociologia” culturale fondata soprattutto sulle fondamentali innovazioni scientifiche e tecnologiche che ne hanno accompagnato la creazione, e senza le quali sfuggirebbe del tutto il senso profondamente e radicalmente rivoluzionario del futurismo. E quindi costruire un connubio stringente e quasi osmotico fra opere d’arte, libri, manifesti, riviste e oggetti scientifici».
Quali sono stati i costi di questa mostra per l’Amministrazione?
«Il Ministero della Cultura ha stanziato 1,5 milioni di euro, iva compresa. Contrariamente a quel che si è detto e scritto erroneamente in più occasioni, non c’è stato alcun taglio di budget. La cifra è rimasta sempre la stessa».
A chi ti rivolgi con questa mostra?
«L’obiettivo è stato quello di non rivolgersi, perlopiù, agli addetti ai lavori con il solito gioco, piuttosto stucchevole, del “quest’opera c’è, ma quella manca”. Si è deciso piuttosto di riservare una particolare attenzione a un pubblico di giovani che spesso ha sentito parlare di futurismo solo attraverso pochi cenni scolastici. Non dobbiamo dimenticare, del resto, che il movimento marinettiano aveva fin dalla nascita fra i suoi scopi principali quello di “incoraggiare tutti gli slanci temerari dell’ingegno giovanile, per preparare una atmosfera veramente ossigenata di salute, incoraggiamento ed aiuto a tutti i giovani geniali d’Italia”, come disse Marinetti nel Discorso di Firenze dell’ottobre 1919.
Così, questa mostra mette in rapporto le opere con oggetti e strumenti scientifici d’epoca provenienti dal Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia “Leonardo da Vinci” di Milano, oltre ai fondamentali mezzi di locomozione che hanno modificato profondamente i concetti di velocità, spazio, distanza e sensibilità percettiva con mutamenti antropologici che non avevano precedenti in nessun’altra epoca, contribuendo a una riconfigurazione radicale del paesaggio esterno e di quello interiore.
Di conseguenza, le opere esposte nelle sezioni storiche di questa rassegna dovranno essere viste non come esiti completamente chiusi e compiuti (ciò avrebbe fatto inorridire i futuristi che, non dimentichiamolo, esaltavano la sconsacrazione dell’arte e il rifiuto di ogni solennità sotto il segno di una perenne sorpresa e una grande ilarità), piuttosto come frecce indirizzate verso il futuro e, soprattutto, come nuclei irradianti una potenza creativa che si espanderà nei decenni successivi in tutta l’arte internazionale, e perfino nei mutamenti antropologici della nostra società attuale».
Quali sono i numeri della mostra?
«Complessivamente ci saranno in mostra circa 350 opere d’arte e circa 150 fra libri, manifesti, riviste e oggetti scientifici. Inoltre saranno esposti un idrovolante, automobili e motociclette d’epoca. Per far capire lo spirito del percorso espositivo che vuole coinvolgere il più ampio pubblico possibile senza perdere nulla dal punto di vista scientifico, è utile pensare alla ragione per cui viene presentato, per esempio, l’idrovolante da corsa Macchi Castoldi Mc 72 (di cui è eccezionalmente esposta una copia perfetta a grandezza naturale – un mock-up, in termine tecnico). Esso sintetizza bene l’epopea della nostra aeronautica e le imprese solitarie degli aviatori italiani, i nuovi eroi popolari. I nostri aerei battevano ogni record di velocità e distanza percorsa.
L’idrovolante da corsa Macchi Castoldi Mc 72 era l’orgoglio del Reparto Alta Velocità della Regia Aeronautica, che, tra il 1927 e il 1936, all’idroscalo di Desenzano scrisse pagine fondamentali della storia dell’aviazione. La più celebre fu scritta il 23 ottobre 1934, novant’anni fa, con il record mondiale di velocità su idrovolanti con motori a pistoni, mai più battuto. Lo fissò il maresciallo Francesco Agello, volando tra Desenzano e Manerba a una media di 709 chilometri orari su un apparecchio che divenne anche un simbolo di bellezza contemporanea: era per l’appunto l’Idrocorsa Macchi Castoldi Mc 72, rosso, guizzante nella sua linea dinamica e filante. Fu l’aereo più veloce del mondo.
Ma quel che ci interessa veramente è che questo idrovolante richiama pienamente l’immaginario futurista di Marinetti, oltre che quello degli aeropittori, visto che potrebbe essere senza dubbio uno degli apparecchi citati dall’inventore del futurismo in L’aeropoema del Golfo della Spezia (1935): “nel capannone d’Alta Velocità di Desenzano interrogo Castoldi costruttore di apparecchi ultra rapidi” e con lui e il maresciallo Agello “ci sentiamo a 200 300 metri con furia ingoiare il bel lago spumoso quando finalmente si trionfa nell’entrare fra gli illustri onnipotenti Signori Chilometri 700 all’ora”».
Quanti e quali saranno i prestatori delle opere in mostra?
«Ci saranno complessivamente circa 80 prestatori, oltre al ruolo fondamentale della GNAM naturalmente: 38 musei di cui 8 stranieri; 11 fondazioni; 3 banche; 4 biblioteche pubbliche; 2 gallerie private; 3 archivi; una ventina di collezioni private. È bene chiarire, viste le polemiche infondate diffuse su alcuni giornali e trasmissioni televisive, che la Galleria Russo di Roma non presta opere di sua proprietà, ma fa semplicemente da tramite con importanti collezionisti che preferiscono mantenere la massima riservatezza».
Come sarà articolato il percorso espositivo?
«La mostra sarà articolata in 26 sale, ricche anche di manifesti, libri, film e riviste con un percorso scandito da dieci tappe: “Prima del futurismo”, “Futurismo analitico e dinamismo plastico”, “Ricostruzione futurista dell’universo”, “Arte meccanica”, “Aeropittura”, “Idealismo cosmico e suoi sviluppi”, “Eredità del futurismo dal secondo dopoguerra”, oltre a due sezioni tematiche dedicate rispettivamente al cinema e all’architettura e a una sala dossier su Guglielmo Marconi che, a mio avviso, fu un autentico futurista. La mostra occuperà i settori 3 e 4 della GNAM, per quasi 4.000 metri quadrati di superficie.
Sono particolarmente fiero del dialogo diretto, fianco a fianco, fra Il Sole (1904) di Pellizza da Volpedo e Lampada ad arco (1910-1911 circa) di Balla, concesso in prestito dal MoMA di New York, per sottolineare il cambiamento epocale fra una concezione panica della natura che rispecchia ancora un’Italia rurale e agricola e la novità dell’elettrificazione, che esprime pienamente la «Modernolatria» di cui parlava Boccioni e che ha influenzato i futuristi anche nella strutturazione formale delle loro opere, come se fossero percorse da scariche elettriche. Con il loro fanatismo radicale e audacissimo, i futuristi hanno sprigionato un’energia simile a quella che si sviluppa nel passaggio tra due stati, da solido a liquido, trasformando due epoche e due mondi, quello agricolo ottocentesco in quello industriale novecentesco, come appunto si vede nel dialogo fra l’opera di Pellizza e quella di Balla».
Sarà inclusa la multimedialità?
«Saranno presentate due installazioni destinate a coinvolgere in modi diretti un ampio pubblico: la prima, di Magister Art, sarà multimediale e porterà il visitatore a contatto immersivo con i mutamenti percettivi che ebbero luogo a inizio novecento in cortocircuito con le tecnologie di oggi, mentre l’altra, di Lorenzo Marini, si concentrerà su un nuovo alfabeto fatto di caratteri e lettere futuriste reinventate dopo un’attenta ricerca filologica basata sul paroliberismo futurista e su Casa Balla. La prima installazione, in particolare, è concepita per far immedesimare il visitatore nella rivoluzione percettiva di inizio Novecento, ma anche per farci riflettere su come stiamo cambiando e potremmo cambiare in rapporto con gli epocali mutamenti di oggi, relativi soprattutto all’intelligenza artificiale. Unendo luce, suono e movimento, questa installazione crea un tunnel del tempo in cui il futurismo transita nell’epoca attuale quasi naturalmente, come un flusso continuo. Si prende spunto dagli “Stati d’animo” di Boccioni per essere guidati verso il futuro dalla voce originale di Marinetti, unita a rumori di stazioni, treni e binari, con un richiamo alla partenza, al viaggio, alla velocità e soprattutto all’energia dell’innovazione».
Ci puoi dare qualche altra anticipazione sulle opere più importanti selezionate?
«Le opere importantissime sono molte, è difficile citarle tutte. Nella sezione “Futurismo analitico e dinamismo plastico” ci saranno “Idolo moderno” di Boccioni e “Le Boulevard” di Severini dalla Estorick Collection di Londra, “Sobbalzi di carrozza” di Carrà dal MoMA di New York (oltre naturalmente a “Lampada ad arco” di Balla), “La rivolta” di Russolo dal Kunstmuseum Den Haag de L’Aia, il trittico degli “Stati d’animo” di Boccioni e “Bambina che corre sul balcone” di Balla dal Museo del Novecento di Milano, “Notturno” di Boccioni dalla GAM di Torino, “Velocità astratta+rumore” di Balla dalla Collezione Guggenheim di Venezia, “Danseuse articulée” di Severini dalla Fondazione Magnani Rocca, oltre naturalmente ai capolavori della GNAM. Per dimostrare che l’interesse per il movimento permeava profondamente quegli anni, anche in contesti creativi non futuristi, sarà eccezionalmente esposto il “Nudo che scende le scale n. 1” (1911) di Duchamp, proveniente dal Philadelphia Museum of Art.
Nella sezione “Ricostruzione futurista dell’universo”, è stato selezionato fra l’altro “Architettura sintetica di un uomo” di Depero, dal MART di Rovereto e “Bambola blu”, sempre di Depero da un’importantissima collezione privata di Lugano. Di Prampolini ci sarà il capolavoro “La Geometria della voluttà”, da Lugano. Eccezionali sono anche i dieci burattini futuristi dello stesso Prampolini riuniti su una piattaforma circolare che ruota, con le figure di diversa altezza con le caricature di Vittorio Emanuele III, Giolitti e Mussolini, Gabriele d’Annunzio e Saverio Nitti e don Sturzo, ma anche personificazioni del fascismo, del Mondo di allora, del Diavolo (forse il comunismo), cui s’aggiunge un’attrice all’epoca di grande nome, Dina Galli».
E per quanto riguarda il cinema futurista?
«In mostra sarà riservata attenzione a due fondamentali film di ambito futurista: Thaïs (di cui viene proiettata una clip particolarmente significativa) girato da Anton Giulio Bragaglia nel 1916 (mostrato a Roma nel 1917), con le potenti scenografie di Prampolini per la sequenza d’apertura e per la scena finale, e Velocità, eseguito a Torino nel 1930 da Tina Cordero, Guido Martina e Pippo Oriani, in cui gli autori utilizzano soprattutto l’idea futurista del “dramma di oggetti”, tramite i quali viene raccontata la storia di un adulterio».
La musica futurista invece come sarà presentata?
«Esporremo uno “Strumento musicale rumorista (Ciac ciac)” del 1916 di Giacomo Balla e la ricostruzione filologica realizzata da Pietro Verardo fra il 2002 e il 2009 degli “intonarumori” fabbricati da Luigi Russolo nel 1913-14. Prevediamo anche di presentare un concerto con questi rivoluzionari strumenti classificati da Russolo secondo famiglie dai nomi fantasiosi: crepitatori, gorgogliatori, rombatori, ronzatori, scoppiatori, sibilatori, esplodenti, stropicciatori e ululatori. Ognuna di esse comprendeva a sua volta vari registri: soprano, contralto, tenore e basso. Agli intonarumori si sono interessati moltissimi musicisti di ogni tempo, da Igor Strawinskij a Maurice Ravel e John Cage».
Mi hai anticipato che sarà analizzata anche la cospicua eredità del futurismo alle generazioni successive…
«Sì. Dopo il 1944, anno della scomparsa di Marinetti, si potrebbe parlare di un futurismo permanente o continuo, in costante trasformazione: «noi affermiamo […] come principio assoluto del Futurismo il divenire continuo e l’indefinito progredire, fisiologico ed intellettuale, dell’uomo», scriveva Marinetti nel 1915. Saranno quindi esposte una quarantina di opere che documentano, per sommi capi, l’eredità del futurismo dal secondo dopoguerra fino alla fine degli anni settanta: opere di Burri, Fontana, Vedova, Dorazio, Colla, Tinguely, Le Parc, Pascali, Schifano, Biasi, Varisco, Zorio, Fabro, Pazienza, la poesia visiva, ecc…».
Avete previsto dei progetti collaterali?
«Certamente e sono numerosi. Federico Palmaroli, appassionato e conoscitore del movimento futurista, sta organizzando un ciclo di talk e performance live dedicato alla rivoluzione portata dal movimento marinettiano, oltre che nelle arti visive, anche nell’architettura, nel teatro, nella musica, nella moda, nella cucina, ecc. La sera dell’inaugurazione, il 2 dicembre, in occasione degli ottant’anni dalla scomparsa di Marinetti, si terrà anche un evento a lui dedicato. Inoltre, Palmaroli porterà un’auto d’epoca in alcune importanti piazze romane per diffondere la mostra al di fuori della GNAM, nei luoghi della vita quotidiana».
Quali sono gli autori dei saggi in catalogo?
«Il catalogo sarà edito da Treccani e comprenderà, oltre ai testi istituzionali e al mio ampio saggio, i contributi di Günter Berghaus, Elena Gigli, Claudio Giorgione, Giovanni Lista, Francesca Barbi Marinetti, Ada Masoero, Ida Mitrano, Riccardo Notte, Francesco Perfetti e di Marcello Veneziani».
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