«Con ispirazione quasi animista Cristina Sammarco riconosce alle isole una sorta di aura – l’ombra che proietta il loro profilo sollevato –, alle onde del mare una sensibilità cromatica varia, nonché la consistenza rugosa della carta vetrata o la scivolosità dell’olio. C’è persino qualcosa di sacrale nel biancore levigato delle isole di ceramica, quasi ostie caramellate che galleggiano per levità di spirito. Mentre nei mari si coglie una concentrazione di senso nelle onde che si passano il ritmo l’un l’altra, idealmente dilatabili secondo l’ampiezza del sentire», scrive la critica Silvia Ferrari Lilienau.
Le opere di Cristina Sammarco – che è anche Docente di Disegno e Storia dell’Arte, consulente creativa e dal 2016 responsabile del Premio Arte Acqua dell’Elba (ne abbiamo parlato qui) in collaborazione con l’Accademia di Brera – nascono nella natura, seguendo il fil rouge della sensazione.
Del mare, cuore della sua ricerca, come spazio sensibile di cui indaga le possibilità estetiche e spirituali restituendole, purificate, in essenziali collages in carta vetrata, ne abbiamo parlato con lei, che sull’Isola dell’Elba accoglie nel suo atelier facilitando «un diretto scambio tra arte e vita».
Francese d’origine e milanese di formazione, quando e perché ha scelto l’Isola d’Elba come base per il suo lavoro?
«È stata un’idea che si è fatta strada nel tempo e che ad un certo punto ha fatto capolino. Penso abbia risposto all’esigenza di vivere in modo più semplice ed essenziale. Già prima di trasferirmi portavo avanti un lavoro sul mare, verso cui ho un legame indissolubile. Ad un certo punto ho allineato l’esterno con l’interno e fisicamente sono andata verso il mare».
Che cosa rappresenta per il mare e in che modo è diventato il centro delle sue sperimentazioni?
«Per me il mare è una sorta di filtro, attraverso il quale far confluire la vita, in tutte le sue accezioni: emozioni, sensazioni, impurità, imperfezioni… È diventato il centro della mia ricerca perché mi permette di lavorare su vari livelli di significato e di sperimentare lo stesso soggetto con tecniche e materiali diversi per arrivare a forme estetiche molto diverse tra loro. E’ un frammento finito che apre all’infinito».
Quali sono le possibilità estetiche e spirituali del mare e come vengono tradotte, formalmente, nella sua ricerca?
«Il mare è qualcosa di tangibile, esperibile che allo stesso tempo risuona in modo ancestrale con la nostra interiorità, collegando la profondità con l’altezza, la spiritualità; e la cosa magica è che tutto ciò avviene in modo naturale, non intellettuale. È questo il meccanismo interiore, comune a tutti, su cui si innesta il mio lavoro. Attraverso la ricerca sui materiali cerco poi di restituire una sensazione precisa, la stessa che provo davanti al paesaggio che mi ha fornito l’ispirazione per iniziare un’opera».
Come racconterebbe, visivamente e in termini di esperienza, il suo studio all’Elba a chi ancora non lo conosce?
«È piccolo! Desideravo una white box, un contenitore che desse rispondenza visiva dei vari progetti che sviluppo nel tempo… all’estero è normale che un artista abbia il suo atelier su strada e mi è sempre piaciuto questo spirito aperto che permette uno scambio diretto fra arte e vita».
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