Nel cuore pulsante del panorama artistico contemporaneo, il Centro Studi e Archivio della Comunicazione dell’Università di Parma anima una mostra che non solo celebra l’arte in tutte le sue sfaccettature ma sfida le stesse convenzioni dell’espressione creativa. Visioni (Im)possibili: Comunicazione, Utopia, Progetto rappresenta un’opportunità per ridefinire il ruolo del vasto archivio CSAC, impegnato nell’ambito della comunicazione e dell’arte italiana XX secolo. Esso non si limita a essere un mero raccoglitore e custode di oggetti d’arte ma gli infonde vita inserendoli in una discussione attuale e stimolante. La rassegna si definisce in due luoghi differenti: la prima è collocata nell’Abbazia di Valserena, in contemporanea una seconda mostra a Palazzo Pigorini, conclusasi lo scorso 24 marzo, approfondiva i lavori di arte cinetica e programmata.
Partendo dalla presente necessità di rivitalizzare il panorama culturale CSAC si ispira, in questa esposizione, al lascito che l’arte italiana ha ereditato dal Bauhaus, in particolare negli anni Sessanta, decennio in cui emergeva un carattere interdisciplinare della pratica artistica. Si assisteva all’intersezione delle forme d’arte considerate tradizionali con le discipline orientate al progettualismo, con l’obiettivo di intervenire direttamente nelle dinamiche sociali. Il proposito era quello di ristabilire un legame intimo tra l’arte e il pubblico.
L’ingresso al museo si apre con i primi due spazi espositivi. La conformazione della sala ipogea favorisce la conservazione di pietre e metalli. Risulta di prim’ordine l’idea di comunicazione tra le opere d’arte e lo spazio circostante. Qui troviamo opere che fanno parte della collezione permanente CSAC, come il monumentale Volto fasciato dello scultore polacco Igor Mitoraj e la scultura bronzea Pensando all’uomo di domani II di Virginio Ferrari. La suggestione dei materiali evoca inevitabili sensazioni di antichità che amplificano la suggestione. La sala delle colonne, solitamente adibita a mostre temporanee, è momentaneamente abitata dalla mostra sul famigerato stilista Walter Albini, visitabile fino al 14 aprile.
Attraverso il galoppatoio, si giunge all’Abbazia in stile gotico dove ha inizio la narrazione espositiva che ospita una vivace convivenza tra le opere permanenti, come la Grande Cina di Mario Ceroli, e quelle selezionate per l’occasione.
L’apertura dell’arte alla società ha trovato un confronto significativo con le innovazioni tecnologiche e l’uso di nuovi materiali. Un esempio emblematico è rappresentato, nel mondo della moda, dal Costume per la celebre Barbarella progettato dall’Atelier Farani. Questo capo, composto da una calzamaglia in tessuto sintetico metallizzato e un corpetto in maglia di metallo argento, incarna perfettamente la confluenza tra estetica e innovazione materiale. In questo contesto, il coinvolgimento estetico dello spettatore è diventato fondamentale nelle pratiche artistiche di quegli anni.
A connotare l’evento espositivo è un’aria di innovazione che tenta di riprodurre quella che si respirava negli anni Sessanta, attraverso la messa in mostra di opere di design come il televisore portatile di Marco Zanuso e Richard Sapper,la Libreria componibile in plastica di Enzo Mari o ancora la macchina da scrivere portatile di Ettore Sottsass Jr e Perry King.
A inserirsi in questo clima sono delle affascinanti fotografie in bianco e nero che rappresentano gli artisti al lavoro per apportare un cambiamento radicale al mondo dell’arte. Lucio Fontana appare alle prese con i tagli, Robert Rauschenberg viene immortalato in mutande nel suo studio da Ugo Mulas. Le fotografie esposte non si astengono dal tema di denuncia, è il caso di Senza Titolo (Manifestazioni antifasciste) di Publifoto Roma, di Senza Titolo (Milano, Duomo e ciminiere) di Bruno Stefani e di Sesto San Giovanni di Uliano Lucas che sembra gridare, attraverso i suoi muri “Il Vietnam è in fabbrica”.
Ciò che rende questa mostra un unicum è la sua capacità di amalgamare differenti medium artistici, offrendo al pubblico un viaggio che attraversa i confini tradizionali mirando all’ampliamento dello sguardo e del raggio di azione. La diversità di approcci rende l’esperienza della visita dinamica e coinvolgente. Ogni opera selezionata è stata scelta con cura, non solo per la sua rilevanza artistica, ma soprattutto per il suo potere di raccontare una storia, di mettersi in dialogo con le opere della collezione permanente attraverso la valorizzazione dell’aspetto progettuale: è l’esempio dell’installazione scultorea permanente Eppur si muove di Enzo Mari che viene affiancata, nel percorso espositivo, ai bozzetti e agli studi dell’artista.
Attraverso opere d’arte che spaziano dalla fotografia alla scultura, dalla pittura al design, la mostra offre una prospettiva interessante sulle sfide e sulle speranze dell’umanità. Le pratiche artistiche di artisti emergenti si fondono per creare un mosaico di idee e visioni, dando luogo a una discussione stimolante e arricchente.
Ciò che colpisce di più è l’atmosfera di apertura e di condivisione che permea Visioni (Im)possibili: Comunicazione, Utopia, Progetto, che non è solo una mostra d’arte e un omaggio al Bauhaus ma un vero e proprio manifesto per l’innovazione e la diversità nell’espressione creativa, fondamentale nell’ottica della costruzione di un sapere condiviso e spendibile socialmente.
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