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Da “Campo Urbano” a oggi: come è cambiata l’arte pubblica?
Arte contemporanea
di Silvia Conta
Era il 21 settembre 1969 quando l’evento “Campo Urbano”, a cura di Luciano Caramel, trasformò per un giorno la città di Como occupando gli spazi pubblici «con interventi effimeri e spesso spiazzanti per la cittadinanza e l’opinione pubblica comasca».
«”Campo Urbano” si inserì – ha spiegato l’istituzione alla stampa – in un più ampio dibattito tra i curatori e i critici del tempo sugli eventi espositivi che andavano moltiplicandosi nelle strade e nelle piazze delle cittadine italiane tra il 1968 e ‘69. In mezzo ai movimenti di protesta e antiautoritari sbocciati nel ‘68, e la conseguente occupazione delle strade da parte di studenti e lavoratori, “Campo Urbano”, come altre mostre di questi anni, cercava un nuovo contatto con la realtà della vita quotidiana e con un pubblico più ampio dei soli appassionati d’arte. Una relazione che si rivelò non priva di ambiguità».
Nell’anniversario di “Campo Urbano” la Fondazione Antonio Ratti di Como ha organizzato “CAMPO UMANO – Arte pubblica 50 anni dopo”, a cura di Luca Cerizza e Zasha Colah: un convegno di due giorni a Villa Olmo (21 e 22 settembre, qui il programma) e la mostra ”Documentare l’effimero” (nello spazio Borgovico33 di Como, fino al 26 ottobre) che celebrano «il cinquantesimo anniversario di quella mostra-evento, analizzandone successi e fallimenti nel contesto storico-artistico e sociale dell’epoca. Allo stesso tempo, il progetto vuole ridiscutere le possibilità e le forme odierne di arte pubblica, in uno scenario politico, sociale e tecnologico in cui l’idea stessa di spazio e di bene pubblico, il concetto di collettività e comunità, sono profondamente mutati rispetto a quegli anni.
Abbiamo posto alcune domande a Luca Cerizza.
Gli eventi di “Campo Umano” sono dedicati alla storica manifestazione del 1969. Può ricordarcela?
«Fin dal nome, il nostro progetto rievoca e, vorrei dire, riattualizza “Campo Urbano”; la mostra-evento che occupò le piazze e le strade di Como il 21 settembre 1969. Su invito di Luciano Caramel artisti, designer, architetti e musicisti realizzarono interventi per la grande maggioranza di natura effimera. Tutto avvenne dalla mattina alla sera: le azioni, istallazioni e performance di Enrico Baj, Davide Boriani, Gianni Colombo, Gabriele De Vecchi, Dadamaino, Luciano Fabro, Bruno Munari, Giulio Paolini, Gianni Pettena (non invitato), Paolo Scheggi, Grazia Varisco e molti altri.
Il giorno dopo non era rimasto praticamente nulla: solo le critiche della stampa locale e le stupende immagini di Ugo Mulas che documentò la mostra».
Perché, con la Fondazione Antonio Ratti, avete ritenuto importante dedicare un convegno e una mostra all’evento del 1969?
«”Campo Urbano” fu una delle ultime di quella stagione di mostre in spazi pubblici che occuparono le cittadine italiane soprattutto tra il 1967 e il 1970. Ci interessava partire da questo caso storico per riflettere su quello che i suoi successi e fallimenti ci possono insegnare oggi. Se la mostra presso Borgovico33 ricostruisce quella giornata di cinquant’anni fa, il convegno riunisce molti esperti in materia (storici, curatori, critici, artisti) per discutere anche delle possibilità dell’arte pubblica oggi, in un contesto politico, sociale e culturale dove il concetto stesso di “pubblico” è profondamente cambiato».
In che termini è mutato?
«La sempre più forte privatizzazione, commercializzazione dello spazio urbano, come le sempre più sofisticate strategie di controllo in uso nel capitalismo avanzato, stanno modificando profondamente le città di oggi e di domani e le nostre possibilità di abitarle.
Gli artisti di oggi devono confrontarsi con uno spazio di intervento che è sempre più complesso. Se forse hanno meno libertà e disincanto di allora, dovrebbero possedere una consapevolezza maggiore e strumenti più raffinati dei loro colleghi di mezzo secolo prima. D’altro canto alcuni degli interventi di “Campo Urbano” (Giuseppe Chiari e Franca Sacchi, Ugo La Pietra, Gianni Pettena, per esempio) sollevarono questioni ancora oggi molto attuali sulla relazione tra cittadino e spazio pubblico».
Su quali aspetti dell’arte pubblica si concentrerà il convegno?
«Il convegno occuperà due giornate. La prima (sabato 21 settembre) si concentrerà su un’analisi di “Campo Urbano” attraverso una ricostruzione storica della situazione sociale e politica italiana (Robert Lumley), un’analisi delle mostre in spazi pubblici in Italia (Alessandra Acocella), la ricostruzione della sua fortuna critica (Luca Cerizza) e una tavola rotonda con alcuni dei protagonisti di quell’evento, moderata da Alessandra Pioselli. La seconda giornata (domenica 22) sposterà l’orologio ad oggi, analizzando gli sviluppi odierni dell’arte pubblica con una particolare attenzione alla realtà delle metropoli e megalopoli europee e asiatiche, attraverso i contributi di Zasha Colah, Hou Hanru e Roberto Pinto. Una tavola rotonda con artisti e studiosi (Massimo Bartolini, Cecilia Guida, Francesco Jodice e Margherita Moscardini) discuterà delle possibilità di intervento nello spazio pubblico oggi».
Parallelamente al convegno ci sarà una mostra, ce la può descrivere in sintesi?
«La mostra (“Documentare l’effimero”) ricostruirà le vicende di “Campo Urbano” attraverso materiali provenienti dagli artisti, in parte totalmente inediti (come il carteggio tra Franca Sacchi e Giuseppe Chiari), gli efemera disegnati da Bruno Munari per l’occasione e una documentazione video e video-interviste dell’Archivio Mulas. Oltre a altri materiali di studio, un ruolo fondamentale lo avranno le immagini di Gianni Berengo Gardin e Gabriele Basilico. Saranno in mostra una selezione di stampe per la maggior parte inedite. Quel giorno di cinquant’anni fa, tre maestri della fotografia italiana documentarono l’effimero, fianco a fianco, per le strade di Como».