«Non ho rifugio nel mondo oltre la tua soglia. Non c’è protezione per la mia testa se non questa porta». Questa iscrizione si trova su un tappeto di Ardebil, il tappeto della tradizione islamica che prende il nome dalla capitale della provincia omonima, nella parte nord dell’Iran. Da questi tappeti ha preso forma l’installazione Homeland-less-ness del collettivo damp (Alessandro Armento, Luisa de Donato, Viviana Marchiò, Adriano Ponte), presentata a fine settembre, all’Ambasciata della Repubblica Islamica dell’Afghanistan di Roma.
Homeland-less-ness, o “casa-senza-patria”, è l’espressione utilizzata dall’antropologo Shahram Khosravi per re-immaginare il concetto di patria, andando oltre i propri confini. I Damp hanno utilizzato delle luci LED per la coltivazione indoor, posizionate lungo i margini dell’ambasciata e che sartorialmente abbracciano i tappeti al loro interno. Lo spazio tra i tappeti è minimo, proprio per trasmettere ai visitatori quel difficile senso di precarietà con cui convivono queste popolazioni afflitte dalle guerre. «I motivi ornamentali di un tappeto persiano, sfondando le simboliche mura di cinta, si fanno sinuosi ponti tra gli estremi ed evocano la possibilità di un radicamento effimero e pervasivo», ci hanno spiegato i damp.
L’istallazione site specific è stata realizzata in collaborazione con l’Associazione Tramandars, con base a Somma Vesuviana, in provincia di Napoli, impegnata nella realizzazione di diverse iniziative culturali. Abbiamo intervistato il suo presidente, Tani Russo, per scoprirle.
Come è nata la mostra all’Ambasciata della Repubblica dell’Afghanistan realizzata con la collaborazione del collettivo damp?
«Il 30 agosto 2021, dopo che le ultime truppe americane avevano lasciato l’Afghanistan, avevamo capito che stava succedendo qualcosa che avrebbe cambiato l’equilibrio politico mondiale. Alcune immagini come quella di centinaia di civili afghani stipati su un volo militare statunitense o degli altri che tentavano di salirci a tutti i costi provando anche ad aggrapparsi a carrelli o alla fusoliera degli aerei, ci colpirono nel profondo.
Ne parlavo con Giovani Negri, oggi segretario del sottosegretario Sgarbi al MiC, fuori le scale della Collegiata, ci sentivamo così piccoli in relazione a quello che stava accadendo eppure cercavamo di trovare idee per stimolare riflessioni e impegno per e con un’arte civica. Sentimmo la necessità di reagire con un appello: una “chiamata alle arti” con l’intenzione di pensare, lavorare e agire per una grande mostra realistica e monotematica e non di restare inermi, in modo da dare anche il nostro piccolo contributo.
Inviammo così una mail all’Ambasciatore della Repubblica Islamica dell’Afghanistan in Italia, Khaled Ahmad Zekriya, che accettò senza remore. L’esperimento artistico si ispirava alla collezione “Terrae Motus”, progetto fortemente voluto dal gallerista napoletano Lucio Amelio dopo il terribile terremoto che nel 1980 devastò alcune regioni del sud Italia.
A quell’appello di Tramandars risposero 17 artisti italiani ed internazionali, per raccontare con sentimento realistico la forza bruta e mortifera della guerra, e magari trasformarla in linfa generativa che celebri la vita e l’essere umano. Tra di essi c’era il collettivo damp che presentò un proprio lavoro del 2020, Tapis Roulant.
L’opera a mio avviso aveva una forza incredibile e quando a maggio di quest’anno l’ambasciatore Zekriya ci ha dato una nuova possibilità di organizzare un intervento d’arte all’ambasciata afghana abbiamo pensato che sarebbe stato interessante affidare solo al collettivo damp, vista la loro professionalità e sensibilità senza eguali, la realizzazione di un progetto che si sviluppasse all’interno e all’esterno dell’ambasciata. Per noi di Tramandars il loro progetto “homelandless-ness”, va inteso come continuum del progetto let’s call for arts for Afghanistan, a dimostrazione che il nostro impegno per un’arte civica continua.
Stiamo già pensando al prossimo progetto per l’ambasciata, perché in un’epoca dove l’arte istituzionale è lontana dalle reali problematiche che sta vivendo il mondo oggi, noi riteniamo che nulla è più Padiglione di un’ambasciata per raccontare la realtà del suo Stato».
A luglio avete inaugurato, con l’Associazione amici del Casamale, Mātěr-îa di Vittorio Valiante, che fa parte di Hub-side, progetto nato nel 2018 per mantenere vivo l’ipogeo della Chiesa Collegiata in Santa Maria Maggiore. Quanto è importante/difficile per un’associazione di un piccolo paese di provincia mantenere vivi certi luoghi?
«Per noi è molto importante mantenere vivi certi luoghi soprattutto se essi custodiscono le storie delle persone della nostra comunità. Quel luogo è nato come sub-corpo della Collegiata alla fine del Settecento per l’allargamento della chiesa e per la creazione dell’abside. Negli anni cinquanta è stato Cinema di quartiere, successivamente, fino a pochi anni fa, è stato utilizzato prima come “parcheggio” e poi come deposito.
Prima dell’inaugurazione dell’opera di Vittorio Valiante, Mātěr-îa a cura di Elisa Perillo, la stradina che porta all’Hub-side era in evidente stato di semi-abbandono. Oggi l’opera e lo spazio, che interagiscono in modo sinergico tanto da considerarli “un’unica cosa”, sono sempre visibili, anche nel buio della notte attraverso una porta di vetro. In questo modo ogni persona del quartiere Casamale diventa, anche inconsapevolmente, parte di quel luogo d’arte.
È una soddisfazione enorme vedere anche persone anziane sentirsi parte di quel luogo, frequentandolo come facevano da piccoli. Così come anche vederlo fruire per prove di spettacoli teatrali che diventano parte del “luogo” e rendono Mātěr-îa viva ogni giorno, la fanno cantare con multiple voci quali la musica di un sax, le note di una chitarra o la melodia di una cantante.
Le voci sono quelle degli abitanti del luogo che ora hanno un spazio libero dove esprimersi e dove permettere aggregazione attraverso la cultura. Mātěr-îa tramite le attività culturali che presenta ogni mese, è diventata un caleidoscopio d’arte civica e partecipata.
Ovviamente viviamo in un’epoca storica dove è difficile creare aggregazione sociale, paradossalmente è meno semplice per i giovani che per gli anziani, in quanto esiste un potente dominio della tecnologia ad uso ricreativo.
Ma noi insieme all’associazione Amici del Casamale crediamo nella ripresa della socialità nella generazione Y e di quella Z. Notiamo fortunatamente che parte di queste generazioni si stanno stancando e annoiando della ripetitività e sterilità delle emozioni dei social e della tecnologia e cercano di riprendersi quella sensibilità ed emotività tangibili che sono possibili, concretamente e non virtualmente, attraverso il contatto diretto con le persone, con le cose e con i luoghi.
Le attività del progetto Hub-Side si inseriscono in questo nuovo, ma “vecchio”, bisogno culturale. Queste iniziative sono meritorie e andrebbero incrementante per il fatto che la nuova esigenza culturale del rapporto con la realtà è latente, non espresso consciamente ma presente».
Sempre a Roma al Giardino Botanico è in mostra fino al 27 ottobre la mostra di Egeon, SmultronstÄlle, in svedese Un prato di fragole selvatiche, un progetto tra arte e natura, ce ne parli?
«Abbiamo conosciuto nel 2021 Egeon nell’ambito della realizzazione di un murales a Pomigliano d’arco in cui lo avevamo coinvolto perché ci interessava la sua ricerca tra arte e natura fungina. Da allora siamo diventati amici e lo abbiamo invitato a partecipare all’art exhibition che abbiamo organizzato con altri otto artisti per il World Food Forum del 2022 alla FAO a Roma.
Nei nostri incontri professionali e non, tra una riflessione e l’altra, convenimmo che sarebbe stato interessante per la sua ricerca costruire un progetto in un Orto botanico proponendolo a Lindsey Hook, head of culture del WFF per la FAO, che attraverso la sua professionalità e risolutezza ha permesso questa tripla collaborazione, tra la nostra associazione, la Fao e l’orto botanico di Roma.
Smultronställe,”un prato di fragole selvatiche”, un luogo idilliaco, è una mostra che esplora il tema della memoria e della natura in un contesto immersivo, dove il tempo ed i ricordi possono essere reinterpretati e reinventati. Le opere d’arte includono grandi acquerelli, sculture in ceramica dipinte a mano ma soprattutto dei Bio-Hard Disk, sculture in substrato di micelio utilizzate per memorizzare dati di memoria immortale. Le opere si connettono idealmente tra di loro e cercano di riportare alla luce paesaggi sfumati dal tempo in modo che il passato si ripresenti in una nuova veste. La mostra culminerà poi il 27 ottobre con un atto purificatore simbolico da cui nasceranno infiniti smultronställe.
La realizzazione di questo progetto a mio avviso è molto interessante non solo per la ricerca di Egeon, ma anche perché va ad inserirsi in una pratica che cerca di far comunicare l’arte contemporanea con un sistema istituzionale internazionale che è in prima linea nella difesa e tutela della natura.
L’arte diventa un vero catalizzatore educativo e riflessivo per un pubblico non solo di settore e lo stesso accade per l’istituzione che, in questo caso, si apre a forme di sensibilizzazione diverse, considerando che questa è stata la prima mostra d’arte della FAO fuori il proprio headquarter».
Per gli Art days – Napoli Campania avete in programma un talk su Art Summit – Vesuvio Contemporary Residency primo programma di residenza del Vesuviano che avere presentato a maggio. Chi saranno gli ospiti? Chi è l’artista in residenza?
«La conversazione sarà un’occasione per presentare per la prima volta al pubblico e alla comunità la ricerca in progress condotta dall’artista del progetto in residenza al Borgo nel periodo di ottobre e di confrontarsi con professionisti del settore che offriranno feedback, spunti e nuove prospettive per leggere, radicare e comprendere dinamiche, sfide e opportunità tra creazione di valore, riscoperta del patrimonio culturale, riqualificazione dei borghi e coinvolgimento della comunità. Il primo artista delle residenza sul Vesuvio è stato Marco Acri, e stiamo aspettando gli ultimi step burocratici per installare il suo progetto, non voglio spoilerare troppo.
Nel mese di ottobre invece l’artista in residenza è Sveva Angeletti, che utilizzando diversi media e l’interazione con il fruitore come parte integrante della realizzazione dell’opera d’arte, concentra la propria ricerca sulle dinamiche relazionali e personali. Personalmente sono molto interessato al suo lavoro perché ci trovo una profondità “dolce”, a mio avviso innovativa, in un sistema dove l’arte contemporanea per essere d’impatto negli anni, è stata già troppe volte cruda e rude.
Valeria Bevilacqua, curatrice di Art Summit – Vesuvio Contemporary Residency, modererà questo talk che ha organizzato e ideato, e avrà come ospiti oltre me e l’artista in residenza Sveva Angeletti, anche Paolo Mele, Presidente di STARE – Associazione delle Residenze Artistiche Italiane; Sonia Belfiore, Founder di UltraVioletto (arte + impresa) e Project manager di Artissima Special Projects; Emanuele Leone Emblema, Storico dell’arte e curatore del Museo Emblema, e Gennaro Di Sarno, CEO di Ansaldo Trasporti S.p.A., Main Partner di Art Summit – Vesuvio Contemporary Residency che ha reso possibile questo progetto d’arte al borgo».
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