Dalla parte del drago #19: Cattivi costumi e guai derivanti

di - 10 Ottobre 2021

E con un titolo così vengono in mente due artisti immediati. Il primo è Masaccio, che era persona astrattissima e molto a caso, come ricorda Giorgio Vasari. Solito a vestirsi come uno straccio, come quello che “avendo fisso tutto l’animo e la volontà alle cose della arte sola, si curava poco di sé e manco d’altrui. E perché non volle pensar già mai in maniera alcuna alle cure o cose del mondo, e non che altro al vestire stesso, non costumando riscuotere i danari da’ suoi debitori, se non quando era in bisogno estremo, per Tommaso che era il suo nome, fu da tutti detto Masaccio”, appunto. Il secondo è il Caravaggio, che ne combinò di cento. Girava armato per Roma nonostante il divieto, ritraeva prostitute in posa come Madonne, frequentava bettole fomentando risse e dandosi con piacere agli schiamazzi e al bere. E l’idea peggiore gli venne durante una partita di pallacorda, almeno così pare. E per un fallo subito tale Rinuccio Tommasoni fu rimandato al creatore e il Merisi si ritrovò costretto a fuggire. Ma l’animo estroso tipico degli artisti intaccò le vite di tanti altri, che ebbero per questo qualche riprovevole comportamento e più d’un guaio con la legge. Carlo Crivelli è tra questi e, come ci racconta Pietro Zampetti, verso la metà del XV secolo fu messo in carcere per qualche mese e dovette pure pagare una salatissima multa perché s’innamorò di tale Tarsia, moglie di un marinaio assente, rapendola dalla casa del cognato e tenendola nascosta per molte settimane, avendo con lei rapporti intimi con disprezzo del buon dio e dei sacri vincoli. Evidentemente il marinaio mancava da un lungo periodo, ma questo non bastò a fermar lo scandalo e costrinse l’artista a migrare e il marinaio in fretta ad attraccare. Paolo Veronese dipinse un’ultima cena meravigliosamente sfarzosa trasformata in convitto a casa di Levi per salvarsi dal tribunale dell’Inquisizione, che non gradiva e s’interrogava su certe strane cose, come i personaggi armati alla tedesca, il buffone con il pappagallo, l’uomo che pulisce i denti e quello che perde sangue. Luca Signorelli fu denunciato da Michelangelo per non avergli restituito un prestito, nonostante i due fossero amici, o quantomeno lo fossero stati. Filippo Lippi aveva preso i voti ma si prese pure la monaca Buti, e insieme sciolsero le promesse e le astinenze grazie all’intercessione del papa Pio II e di Cosimo de’ Medici.

Marco Zoppo, La Madonna del Latte, 1455, Dipinto su tavola trasferito su tela, 89×72 cm

Marco Zoppo citò in giudizio il suo padre adottivo, il noto maestro Squarcione, con cui ruppe in breve ogni rapporto giuridico e personale. E pare che ne avesse ben ragione e che sia stato lo Squarcione a violare i patti, pretendendo di punto in bianco un cospicuo risarcimento per le spese sostenute durante il praticantato del discepolo.

Francesco Squarcione, Madonna col bambino, 1455, Tempera su tavola, 82×70 cm

Il Parmigianino fu accusato e imprigionato per inadempienza, dopo che non riuscì a terminare, come da contratto, alcuni affreschi aventi per per tema un’Incoronazione della Vergine. Il periodo previsto era di diciotto mesi ma i lavori non finirono in tempo e i fabbricieri della Steccata andarono all’attacco decisi. Giovanni Antonio Bellinzoni da Pesaro morì con le tasche vuote e con un debito mai saldato che la vedova Caterina e il cognato furono tenuti a pagare quattro anni dopo.

Il Vasari accusò Andrea del Castagno di aver assassinato Domenico Veneziano ma pare non essere vero. Baldassarre Tommaso Peruzzi, discepolo di Raffaello, ebbe qualche guaio grosso durante il sacco di Roma perché fu fatto prigioniero dagli spagnoli e si liberò con una rocambolesca fuga e con il pagamento di un riscatto. Ma tanto morì vecchio, in grande povertà, con una numerosa famiglia da mantenere e probabilmente avvelenato da un rivale professionale. Leonardo fu accusato per sodomia anonimamente ma l’accusa cadde nel niente, mentre Amico Aspertini, il pittore dei due pennelli -perché pare dipingesse a due mani, tenendo in una il pennello chiaro e nell’altra quello dello scuro – già eccentrico in gioventù, lo fu ancor di più verso i sessant’anni, quando impazzì e vendette per vile prezzo alcuni dei suoi beni. Ritornato in senno però li rivolle, adducendo ragione che il comperare da un demente è solenne frode.

Fra Bartolomeo, Dio Padre in gloria tra le sante Maria Maddalena e Caterina da Siena, 1509, Olio su tela trasferita su tavola, 361×236 cm

Fra Bartolomeo si recò a Venezia per eseguire un Dio Padre in Gloria, ma problemi con i pagamenti fecero sì che l’artista se ne partisse dalla città che galleggia portandosi dietro l’opera. Grazie a una lettera che il conte Bardazzi indirizzò al duca di Mantova si capisce invece la tendenza di Guido Reni a essere larghissimo dissipatore e ad aver sempre estremo bisogno di denaro. Negli ultimi anni della sua vita chiedeva prestiti che non risarciva e vendeva l’opra sua e le giornate a un tanto l’ora. Ma rischiò anche di peggio quando uno dei suoi innumerevoli collaboratori di nome Antonio Randa tentò di ammazzarlo per il sospetto che fosse innamorato della sua Rosa, dipinta come una bellissima Venere nuda. Domenichino ebbe guai non per colpa sua, ingenuo e timido com’era, ma fu il dipinto della Caccia di Diana a dargli grattacapi. Poiché nonostante l’opera fosse stata commissionata dal cardinale Pietro Aldobrandini per la sua galleria, Scipione Borghese la vide e la volle, ammaliato dalla ninfa in primo piano che guarda dritta lo spettatore. Così la fece prelevare con forza dallo studio del pittore, e Domenichino fu trattenuto per alcuni giorni in prigione.

Benozzo Gozzoli e bottega, Tabernacolo dei giustiziati (particolare), 1465, Affresco staccato

Giovanni delle Cecca, discepolo di Benozzo Bozzoli e nipote del Beato Angelico, fu rinchiuso nelle carceri di Certaldo accusato di aver derubato le lenzuola dal convento in cui era stato ospitato. Il Maestro Bozzoli chiese allora a Lorenzo il Magnifico di intervenire per evitare che il poveretto non dovesse passare davanti al tabernacolo che aveva contribuito a realizzare. Benozzo dipinse infatti a Certaldo con l’aiuto della sua bottega – e dunque di Giovanni – un tabernacolo dei Giustiziati.
Ma tutto è bene quel che finisce bene, anche se per oliare le cose conviene a volte baciare qualche mano, come scrisse Vasari nella sua nota dedica a Cosimo.

Nicola Mafessoni è gallerista (Loom Gallery, Milano) e amante di libri (ben scritti). Convinto che l’arte sia sempre concettuale, tira le fila del suo studiare. E scrive per ricordarle.
IG: dallapartedel_drago

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