Dalla parte del drago #25: Bonaccia assoluta, Signor Burns

di - 30 Gennaio 2022

Fino a qualche anno fa i quadri di marina non mi piacevano nemmeno per metà e trovavo troppo semplice lasciarsi ispirare dal mare e scrutare lo spirito del grande oceano per provare una certa leggerezza di cuore. Ma mosca! Un giorno attraverso l’oblò dell’arte vidi più limpide certe acque dipinte, invertii la rotta della mia considerazione e capii perché i Persiani tenevano per sacro il mare. Ho provato dunque anch’io a buttarmi nelle opere di quei pittori che il mare lo dipinsero da avventurieri, che in effetti quando la marea è alta, un bacino agitato dalle onde, candido di spuma, frustrato dai marosi che vi entrano, passando oltre la boa che fischia sulla scogliera, il mare è un luogo favoloso, come scrisse John Steinbeck raccontando la baia di Monterey, in U.S.A.

Konrad Witz, La pesca miracolosa, 1444, Tempera su legno di pino, 132×154 cm

I pittori lo sapevano bene e i paesaggi marini (o le marine) erano un genere che veniva praticato principalmente tra il XVII e il XIX secolo ma che è rintracciabile fin dalle primitive incisioni. Nel Quattrocento ci furono le prime avvisaglie del ritorno al tema con assiduità, con Van Eyck, Konrad Witz e Carpaccio che usarono più di una volta il mar come soggetto. Prendiamo l’autore di mezzo: il tema è la Pesca miracolosa, perché dalla religione a quei tempi non ci si isolava. La barca è una semplice bagnarola e siamo lontani dalle grandi vele che solcheranno mari ribelli in furioso tumulto nelle epoche successive.

Pieter Bruegel il Vecchio, Battaglia navale nel golfo di Napoli, 1556, Olio su tavola, 39,8×69,5 cm

Famosa per quegli anni fu anche la Battaglia navale nel Golfo di Napoli, di Pieter Bruegel il Vecchio, tra sbuffi di fumo, galere e velieri, con l’ingresso al porto in penombra e il baluginare carico dell’azzurro. Ma l’epoca d’oro del genere arrivò nel Nord Europa, con l’economia che ruotava sulla pesca grossa, il commercio e le guerre per il dominio. Grande specialista nautico fu Hendrik Cornelisz Vroom, che nel 1617 raffigurò alcune navi olandesi speronare gremite galee spagnole al largo della costa fiamminga nell’ottobre del 1602, con bellissime vele panciute, marinai nemici inghiottiti dalle creste ondose e barche scrollate dalle rovine. Nel secondo quarto dei Seicento Simon de Vlieger fu il pittore del genere più noto nei Paesi Bassi e dipinse La nave ammiraglia di Maarten Tromp Brederode al largo di Hellevoetsluis con varie bellissime imbarcazioni complesse che affrontavano testarde il mare strappandogli schizzi di schiuma, sormontate da nubi scure come piombo e cariche di pioggia, che si affacciavano da sinistra, sullo sfondo.

Reinier Nooms, La battaglia di Livorno, 1653-1664, Olio su tela, 142×225 cm

Ma continuiamo a spalancare le grandi cataratte del mondo delle meraviglie e rintracciamo simili avventure sulle tele di Jan van de Cappelle che si sbizzarrisce in luccicanti effetti atmosferici dove un cielo blu potente fa da volta alle grandi barche. O su quelle di Hendrick Dubbels che rimangono impresse per le vedute più rilassanti, con code di nuvole bianche che s’inseguono in un intreccio di voli e che rendono solenni certe scene dalle quali si viene volentieri colpiti. Apriamo le vele al vento e partiamo per un altro autore: Reinier Nooms, che aveva navigato lui stesso, ci regalò La battaglia di Livorno, immortalando le vittorie olandesi negli scontri navali con dovizia di particolari di imbarcazioni e luoghi, che influenzarono autori successivi. Si firmò come “R. Marinaio”, giustamente.

Rembrandt, La tempesta sul mare di Galilea, 1633, Olio su tela, 160×128 cm

Anche il grande Rembrandt dipinse una marina, la sua unica: La tempesta sul mare di Galilea dove è raffigurato il miracolo di Gesù che calma le acque durante una tempesta, ispirato dalla descrizione del Vangelo di San Marco. Con la mano sul berretto e l’altra che impugna la fune, sereno nonostante abbia appena finito di staccar santi – si presume – , l’unico che guarda lo spettatore è Rembrandt stesso, creando l’ennesimo suo autoritratto. Padre nostro che sei nei mari, verrebbe da dire, ma finiamola di cianciare, che è meglio navigare con un bravo capitano che fa il muso, che con uno cattivo che ride – Herman Melville scrive. E a tal proposito il pittore preferito del grande scrittore fu Ambroise Louis Garneray che, attivo principalmente nell’Ottocento, ebbe una vasta esperienza come marinaio e dipinse con accuratezza la caccia alle balene e che ci regalò una graziosa Veduta di Genova con una vista rilassante che include mare e colline senza nessuna furia o caccia mortale. Nicholas Pocock fu un abile comandante di navi ma lo scoppio della guerra d’indipendenza americana lo relegò a terra convincendolo a dipingere, con l’approvazione e la stima di Sir. Joshua Reynolds addirittura. Immortalò grandi battaglie navali tra cui l’Azione di Duckworth al largo di Santo Domingo, il 6 febbraio 1806, illustrando come Sir John inseguì uno squadrone francese nel mar dei Caraibi facendo vela in direzione ovest, formando una linea di battaglia vicino alla costa e avvicinandosi in due file per tagliar fuori il nemico con una manovra originale come il peccato. Caspar David Friedrich utilizzò una marina per congedarsi e dipinse Le tre età dell’uomo come metafora delle navi al tramonto: una barchetta a riva è capovolta ma c’è grande calma; nessuna violenta raffica di vento lo insegue, vicina ormai è la fine, perché il mondo è una traversata senza viaggio di ritorno e il pulpito è la sua prora. Il dipinto sta a Lipsia, non è grande ma è di certo meraviglioso, e chissà quanti pezzi da otto dev’essere costato.

Nicola Mafessoni è gallerista (Loom Gallery, Milano) e amante di libri (ben scritti). Convinto che l’arte sia sempre concettuale, tira le fila del suo studiare. E scrive per ricordarle.
IG: dallapartedel_drago

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