19 febbraio 2022

Dalla parte del drago #26: Molto rumore per nulla

di

Finte identità, gemelli inesistenti, slittamenti di genere e anche acquirenti fasulli. Nel variopinto mondo dell'arte contemporanea c'è tutto quello che si può desiderare per instillare l'ombra del dubbio. Ma chi si scandalizza più?

Rrose Selavy (Marcel Duchamp), 1920, Vintage print, © Man Ray Trust/ADAGP, Paris and DACS, London 2015

Prendiamo come spunto la recente vicenda di Moritz Kraus e della sua cricca per capire cosa è successo a riguardo nella storia, che è sempre interessante approfondire certi strani eventi, anche nell’epoca della blockchain e di Bansky. Bernard Berenson, come già abbiamo visto, aveva dato vita a un artista chiamato l’Amico di Sandro, intendendo il Botticelli, non riuscendo a capire di chi fossero certe opere attribuite al Ghirlandaio o ai Lippi (Filippo e Filippino), riuscendo addirittura a tracciarne una personalità precisa e un carattere specifico. Marcel Duchamp fu Rrose Sélavy e scelse di cambiare identità per un periodo, e da cattolico qual era cercò un nome ebraico fingendo di cambiare religione come primo passo. Non avendo però trovato un appellativo che gli piacesse, o lo tentasse, cambiò addirittura sesso, con il gioco di parole di «arrose» e Sélavy, trasposizione fonetica di Éros, c’est la vie. Duchamp si fece persino fotografare in abiti femminili e firmò con lo pseudonimo diverse opere tra cui Belle Haleine – Eau de Voilette, Fresh Widow e Pourquoi ne pas éternuer? Ma meglio non rispondere e continuer.

Roberta Breitmore (Lynn Hershman Leeson), Interim Drivers License, January 20, 1976, Ink on paper

Lynn Hershman Leeson divenne Roberta Breitmore improvvisamente e, dopo aver fatto check-in al Dante hotel di San Francisco, aprì un conto in banca, cercò un coinquilino, interagì con 27 persone, disegnò e fece fotografie. Durante il quarto anno della performance Breitmore si moltiplicò in altre quattro figure che apparvero nelle sue sembianze e nel 1978, al Palazzo dei Diamanti di Ferrara, tutto ebbe fine. Alighiero Boetti si sdoppiò mettendosi una “e”nel mezzo, creando una distinzione tra i suoi due sé stesso, come fossero gemelli, il bene e il male, con l’Alighiero che faceva casino e il Boetti che si dava alle opere. Andy Warhol si fece rappresentare da un sosia o da un alter ego e John Dogg fu l’invenzione di Richard Prince con il gallerista Newyorkese Colin de Land, che elevò ad arte l’ossessione dell’hobbista americano per l’auto come oggetto-trofeo, simbolo di status. Eva e Franco Mattes sono gli 0100101110101101.org, mentre Gazira Babeli viveva nel mondo virtuale di Second Life e presentava opere reali senza la pretesa di un umano che la governasse, inaugurando i suoi eventi in entrambi i mondi.

John Dogg, Untitled, Blue Wall, 1986, Penumatico, legno, 76.2×76.2×26 cm

Oggi poi ci sono anche gli NFT degli artisti digitali che vendono le loro opere uniche senza intermediari. Stranezze da tempi moderni? Solo aggiornamenti. Del resto di opere strane o quasi-inesistenti la storia dell’arte è ricca da sempre. Si va da 4’33’’ del 1952 di John Cage a Yves Klein con “the void”, alla Clert Galerie di Parigi. Passando da Lucy Lippard, che nel 1967 coniò il termine “dematerialization”, a Robert Barry, che chiuse la Eugenia Butler’s Gallery di Los Angeles nel 1970, la cui vetrina fu vent’anni fa fotografata da Jonathan Monk, divenendo una nuova opera. E se Cattelan mise il cartello «Torno subito» sulla porta chiusa della Galleria Neon di Bologna in occasione della sua prima mostra personale rigorosamente priva di opere, Keith Arnatt nel 1970 propose “is it possible for me to do nothing as my contribution to this exhibition?”.

Yves Klein in Le Vide, Galerie Iris Clert, Parigi, 1958

Nel 2002 Santiago Sierra fece “Space Closed by Corrugated Metal” per il nuovo spazio della Lisson Gallery di Londra, mentre Ryan Gander a Documenta 13 espose il vento nella sala principale. Jason Dodge alla collezione Maramotti lasciò permanente aperta una finestra, mentre Martin Creed vinse il Turner Price accendendo e spegnendo l’interruttore della luce. E ancora: Ian Wilson chiacchierava con le persone, Bruce Nauman cammina ora a Venezia, Goran Petercol traccia una linea su un foglio che prosegue sul retro del foglio stesso, come se la linea prendesse forma. Molto rumore per nulla? Tutt’altro, e anche l’identità di Shakespeare non si sa bene quale fosse. L’invenzione ultima pare sia stata creare un sistema di finti acquirenti, e questa è forse una novità, per quanto ne so. Ma chi si scandalizza? Se fosse una critica a quegli incerti collezionisti che si fanno influenzare dagli acquisti degli altri, a me non darebbe affatto fastidio. E se fosse una critica a chi non approfondisce molto, andrebbe bene lo stesso. E chi non conosce Vladimir ed Estragon che aspettano Godot, legati nell’attesa? Ma Godot non arriva.

Bruce Nauman, Contrapposto Studies, I through VII, 2015-2016, Video Projection, Detail

Nicola Mafessoni è gallerista (Loom Gallery, Milano) e amante di libri (ben scritti). Convinto che l’arte sia sempre concettuale, tira le fila del suo studiare. E scrive per ricordarle.
IG: dallapartedel_drago

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