Cezanne! Che sembra discendesse da una famiglia originaria di Cesena, è lui il maestro della mela. Ma la mela compare in tutti quei dipinti dove Adamo ed Eva vengono cacciati dal Paradiso per aver voluto provare l’unico frutto proibito, o in tutte quelle nature morte dedicate alla frutta: dalle pitture di Pompei e avanti tutta. Magritte la mette di fronte al viso di un uomo ben vestito, Caravaggio la rappresenta in primo piano, bacata nella canestra, il Bellini gli dedica addirittura una Madonna, l’Arcimboldo la usa come guancia per ritratti reversibili o personificazioni di mesi. E che fosse una grande fonte di ispirazione lo capì anche Isaac Newton, che da lei partì per la sua legge di gravitazione universale e ormai noi sappiamo che è uguale per tutta la terra del nostro pianeta e dunque anche a New York, che è la Grande della Mela. Sperando sempre che Guglielmo Tell la c’entri e che l’opera ben risulti, affrontiamo il viaggio nel suo universo, con questo breve testo scritto con il mio Macbook della Apple.
E una mela che mi piace la ritrovo nella mano sinistra del bambino sorretto dalla Vergine a tuttobusto del Sassoferrato, immersa in un’armonia cromatica sfumata che conferma un gusto di tendenza decisamente classica. Qualcosa di proibito sembra comparire nella mano della Venus Verticordia di Dante Gabriele Rossetti, che tra rose in fiore e caprifogli rampicanti, non può che tenere in mano il pomo della discordia sui cui, dolcemente, si posa una farfalla. Andiamo avanti, che ce n’è per tutti i gusti, e sia mai che una mela per autore tolga di turno il medico (di base). Sicuramente preziosi sono i pomi delle Tre Grazie di Raffaello, mantenuti in cerchio in equilibrio, mentre le mele nel cesto di Picasso, quelle di Matisse e di Braque, con imprecisate e sbordanti macchie di colore, vivaci e allegre, si assomigliano un po’ tutte. Nel cesto della Terra invece, dei Quattro Elementi del genio di Giovan Battista Castiglione, ovvero il Grechetto per farla breve, non capisco cosa ci sia davvero dentro.
Sicuramente il dipinto richiama al Baccanale del grande Rubens, dove la frutta di certo compare, anche se nel maestro fiammingo la mela diventa protagonista nel Judgment of Paris eseguito in diverse versioni, delle quali le due più note stanno a Madrid e a Londra, per amor di contrapposto, manco a farlo apposta. In entrambi i casi si tratta della mela della contesa che frutterà la guerra di Troia e più tardi la fondazione di Roma, addirittura. Il soggetto è affrontato però in modo diverso e il primo quadro, ambientato al tramonto, ha le tre dee sulla destra e Paride dall’altro lato che allunga la mano per offrirla alla più bella. Evidentemente è Venere la vincitrice e a posar come modella fu proprio la moglie dell’artista e il pomo d’oro fu consegnato all’eletto giudice da Mercurio, che insieme al suo cane, sta lì a fianco. L’opera scampò addirittura al fuoco, per ordine non concluso di Carlo III, che lo giudicò privo di pudore e immodesta. La seconda versione mostra invece un episodio precedente nella storia, quando alle dee viene ordinato di spogliarsi dal furbo dio con il petaso e il caduceo, prima dell’assegnazione dell’ambito trofeo.
Ma se è alla mela d’oro che vogliam guardare, allora non resta che citare anche gli altri artisti che hanno affrontato lo stesso episodio mitologico, che pare piacere in molte altre zone: Jacob (Jacques) Jordaens e Hendrick van Balen il Vecchio, per stare in Belgio, Lucas Cranach in Germania, William Etty e Sir James Thornhill in Inghilterra, Jean-Antoine Watteau, Renoir e André Lhote in Francia, Angelica Kauffman dalla Svizzera, Joachim Uytewael dall’Olanda, Enrique Simonet e Salvador Dalí per la Spagna, Sandro Botticelli per l’Italia, e chissà chi, tra tutti quegli altri, che qui al momento non si tratti. Qualcosa di gustoso e irrinunciabile pare pendere dall’albero di Tiziano, che infatti invoglia Eva a cogliere il frutto proibito e che segnerà la cacciata definitiva dell’uomo dal paradiso. David La-mela-s di Buenos Aires non la dipinge certo ma le tiene nascosta nel cognome, che come soggetto non gli si addice, mentre pensavo fossero mele quelle di Van Eyck vicino alle finestre dei Coniugi Arnolfini ma a scorger bene sono arance, anche se il peccato lo ricordano comunque.
Graficamente essenziale e definita è La Mela di Enzo Mari per la Serie della Natura, ma almeno c’è del gran colore e la pensiamo legata all’essenziale delle cose. E con il mento sorretto dalla mano, posta di fronte al mio pomo d’Adamo, pongo fine a questo testo, prima di uscir fuori contesto.
Nicola Mafessoni è gallerista (Loom Gallery, Milano) e amante di libri (ben scritti). Convinto che l’arte sia sempre concettuale, tira le fila del suo studiare. E scrive per ricordarle.
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