Pittori di tenebre che si evolvono. Dal Caravaggio ai caravaggeschi, e dove si finisce? Ai Black paintings. Da Francisco Goya a Frank Stella, da Mark Rothko fino Ad… Reinhardt. L’ultima frase di Goethe sul letto di morte pare essere stata: “più luce”. Ma i pittori non l’hanno davvero ascoltata, se non forse per certi capolavori di Turner, i tramonti del Bellini o i White Painting di Robert Rauschenberg del 1951, che parvero poco capiti anche dai critici, che proprio non digerirono quei cinque pannelli modulari dipinti completamente di bianco con un semplice rullo. Sarà che quello fu giusto l’anno della riscoperta del Merisi e dei suoi seguaci, tra i quali l’olandese Gerrit van Honthorst che noi chiamiamo – per evitar dubbi – Gherardo delle Notti.
Ma lassù ne Nord un altro maestro aveva portato la pittura al confine del rappresentabile, non tanto con la Ronda notturna, quanto con la stampe: é lì che Rembrandt, con l’acquaforte e la puntasecca, provò a restituirci visioni impensabili per le limitate percezioni comuni. Ma se di opere oscure si tratta, a quattordici dipinti di Goya direttamente si passa. Le sue pitture nere risalgono al 1823 e sono opere murali trasposte su tela in età successiva e conservate oggi al museo del Prado (per fortuna), che in origine Francisco realizzò per la quinta del sordo, ovvero quella casa di campagna dove si trasferì per scappare alla sua sordità. E fu così che, tra frutteti e ampie tenute, nonostante l’amore di Leocadia Zorrilla, nuova devota compagna, creò un ciclo omogeneo per il tono cromatico e per il tema legato al trionfo del male e all’umana tragica condizione, indagata con grandissima emozione. Il più noto episodio di questo ciclo angosciato – o forse il più pubblicato – è “Saturno che divora i suoi figli“ anche se a me sono sempre parsi speciali il povero cane nero interrato nella rena che guarda verso l’alto prima di sprofondare in un mare di ocra e giallo, e il pellegrinaggio a San Isidro con i suoi terribili camminatori che procedono con i colli brumosi, le bocche spalancate e i volti deformati in uno dei cortei più temuti e brutali che la storia dell’arte abbia mai incontrato. E noi continuiamo nell’oscurità come gli argonauti alla ricerca del vello d’oro che permette di curare ogni ferita, ma lasciamo subito la mitologia greca e la terra Colchidea, per non perdere la Trebisonda, che tra l’altro la delimita.
Quadrato nero è un dipinto emblematico di Kazimir Malevič che fu realizzato in prima versione nel 1915, a cui seguirono poi altre tre varianti, inclusa una finale dei primi anni trenta. Il dipinto venne esibito per la prima volta alla ultima mostra futurista e fu invocato come il “punto zero della pittura”, anche se la pittura dark continuò su altre tele e per altre mani note, come quelle di Frank Stella che, a fine anni cinquanta, si impose nel mondo oscuro dell’arte con una serie di dipinti a strisce nere chiamata (guarda caso) Black Paintings, nei quali trasformò la pennellata gestuale e la sua angoscia esistenziale concentrandosi su elementi geometrici e ritmici.
Non molto lontani da essi furono i dipinti neri di Ad Reinhardt, che fuse due paradigmi dell’astrattismo: la griglia e il monocromo. Il suo nero apparentemente compatto a guardar bene permette di scorgere più blocchi di colore leggermente diversi che nel corso del tempo divennero sempre meno distinti. A quel punto arrivò anche Rothko, che negli stessi anni abbandonò i gialli, i rossi luminosi e gli aranci vivaci per passare a colori scuri, marroni, violacei e sanguinosi, che per qualcuno furono un’anticipazione della sua tragica fine e che confluirono in parte alla Tate di Londra, scampando alla commissione prevista da Ludwig Mies van der Rohe per il ristorante Four Seasons nel Seagram Building di New York, o in quella che si può considerare il suo tempio e testamento: la cappella fondata a Houston da John e Dominique de Menil nella loro incredibile collezione. Ma anche oggi l’oscurità ci attanaglia e tra i tanti artisti che provano a renderla c’è il longevo Pierre Soulages, che dipinge enormi tele utilizzando solamente l’oscuro colore. Ma ciò che del nero lo attrae pare essere invece quella luce che è in grado di riflettere, consentendo al nero di uscire dalle tenebre. Che contraddizione!
E qualcosa succederà a breve con Anish Kapoor e il suo nero assoluto esclusivamente brevettato, che sembra l’inizio di un nuovo capitolo. Quel nero inventato (pare) a scopi militari, dovrebbe infatti confondere i nostri occhi e le nostre percezioni. E come scrisse San Paolo nella seconda lettera ai Corinzi “Videmus nunc per speculum et in enigmate, tunc autem facie ad faciem” ma a quel punto chissà quante ne avremo combinate.
Nicola Mafessoni è gallerista (Loom Gallery, Milano) e amante di libri (ben scritti). Convinto che l’arte sia sempre concettuale, tira le fila del suo studiare. E scrive per ricordarle.
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