Ancora una volta, raffinate questioni di teoria dell’arte si discutono in tribunale ma non è il caso di andare troppo per il sottile, visto che in ballo sono vari milioni. Secondo quanto riportato da Le Monde, uno scultore francese, Daniel Druet, ha infatti citato Maurizio Cattelan per violazione della proprietà intellettuale. Druet sostiene che nove delle opere più famose di Cattelan, tra cui La nona ora, Him e Stephanie, sono in realtà basate sui suoi modelli in cera originali. Lo scultore, insomma, punta a essere riconosciuto come l’autore esclusivo delle opere e la differenza non è solo nominale, visto che a compensazione della presunta violazione si richiedono circa 5 milioni di euro. La richiesta di risarcimento è rivolta al gallerista di Cattelan, Emmanuel Perrotin, e alla Monnaie de Paris, museo dove, nel 2016, si svolse “Not afraid of Love”, esposizione che raccoglieva 20 tra le opere più rappresentative della ricerca dell’artista italiano vivente più famoso al mondo, tra cui quella che dava il titolo alla stessa mostra.
In Francia Druet gode di una certa fama per le sue sculture di cera, accurate repliche “dell’originale” – è il caso di dirlo – in esposizione al Museo delle cere Grevin di Parigi. Tra le sue opere, anche una statua del musicista Serge Gainsbourg, che ha posato personalmente per Druet. Lo scultore afferma di essere stato contattato da Cattelan alla fine degli anni ’90 per realizzare una dozzina di opere ma, sempre secondo Druet, i suoi diritti di autore non sono mai stati riconosciuti, in quanto non è mai stato nominato come creatore. Eppure, secondo quanto ricostruito da Druet, le indicazioni ricevute da Cattelan e dal suo staff, all’epoca della commissione, erano sempre piuttosto vaghe, lasciando intendere così un suo ruolo di primo piano nell’elaborazione formale ma anche concettuale del lavoro finito.
Dall’altra parte, Perrotin ha affermato che le richieste di Druet non solo sono infondate ma minacciano anche di andare contro tutti i principi dell’arte contemporanea. «Siamo stati ingenui», ha detto il gallerista al quotidiano francese, sottolineando che Daniel Druet e Maurizio Cattelan «Non hanno mai parlato di contratto» ma specificando anche che il lavoro, all’epoca, fu regolarmente pagato.
Secondo la Galleria, insomma, Druet ha creato molti degli stampi e dei prototipi originali ma le idee e i concetti sono assolutamente di paternità di Cattelan. Ma quando si tratta di arte concettuale, nemmeno mater certa est. Insomma, dopo gli spinosi – e innumerevoli – casi di plagio di Jeff Koons e Andy Warhol, ancora una volta l’arte contemporanea mette a dura prova la giurisprudenza.
Una volta non si andava troppo per il sottile e oggi, sulle didascalie, si legge spesso “Raffaello e aiuti”, “Michelangelo e bottega” e contenti tutti. Paradossalmente, l’arte contemporanea, che da Marcel Duchamp in poi ha costantemente messo in crisi i principi di autorialità, unicità, riconoscibilità, ha aperto una ampia e interessantissima discussione sulle modalità di realizzazione dell’opera, dall’idea alla messa in atto, fino all’esposizione e alla riproduzione. Una questione che spesso finisce nelle aule dei tribunali, lì dove l’interpretazione dell’arte può fare affidamento su codici precisi. Ma basteranno?
Secondo Pierre-Olivier Sur, avvocato della Galerie Perrotin, «La legge centenaria che attualmente disciplina i criteri per determinare la paternità di un’opera d’arte non è adatta per l’arte concettuale». E adesso, la discussione si sposta al tribunale di Parigi: prima udienza il 13 maggio.
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