-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
Daniel Gonzalez e il rituale della festa urbana: arte effimera a Divago 2024
Arte contemporanea
di redazione
Nel cuore pulsante del ghetto ebraico di Genova, tra storie secolari e sfide contemporanee, ha preso vita la terza edizione di Divago, il festival biennale di arte urbana promosso dall’associazione Wanda e curato dal collettivo Mixta, con il sostegno di istituzioni come la Fondazione Compagnia di San Paolo e il Ministero della Cultura. Con un orientamento community-based, il festival trasforma spazi pubblici e privati in laboratori di creatività, coinvolgendo attivamente le comunità locali e aprendo nuove prospettive sulla memoria e l’identità del quartiere.
Alice Paltrinieri, Chiara Mecenero, Collettivo Shibboleth, Daniel González, Elias Cafmeyer, Gaia Coals, Greg Jager, Luca Conte aka Gerolamore, Isabella Nardon & Jacopo Noera sono stati gli artisti invitati, che hanno diffuso le loro opere in varie zone espositive: Via del Campo, Piazza del Campo, Piazza san Marcellino, Piazza Vacchero, Piazza don Andrea Gallo e Chiesa di San Marcellino. Le loro opere, nate dalla residenza artistica nel quartiere, sono frutto di un dialogo con le comunità locali, per un approccio orizzontale alla creatività. A selezionare gli artisti, un board composto dal direttore del Museo MACRO Roma Luca Lo Pinto, dalla galleria pinksummer, dalla curatrice Anna Daneri, dalla storica dell’arte Arianna Desideri e dall’operatore sociale Lorenzo Penco.
In questo ambito, Daniel González, noto per la sua ricerca sul potere trasformativo delle esperienze collettive, ha presentato Dancing Curtains. Collocata lungo via del Campo, uno degli assi principali del festival, l’opera gioca con l’idea di apertura e chiusura: tende danzanti che, come un sipario, introducono il pubblico a uno spazio di sospensione temporanea.
Il lavoro dell’artista argentino, classe 1963 e da anni in Italia, si colloca tra l’arte pubblica e l’architettura effimera, esplorando i concetti di celebrazione e trasgressione sociale. Attraverso installazioni che evocano la ritualità del carnevale, González invita lo spettatore a entrare in uno spazio-tempo altro, dove le regole della quotidianità si dissolvono.
L’installazione presentata a Divago, realizzata in mylar, materiale riflettente e vibrante, non è solo una celebrazione visiva, ma anche una riflessione sulla memoria e sull’identità urbana. Cos, González trasforma la strada in una eterotopia, un luogo altro, dove tutto è permesso, un microcosmo festivo che ribalta l’ordine sociale.
Questa dimensione partecipativa e trasformativa del lavoro di González si collega alla sua lunga ricerca sulla natura effimera dell’arte, che in passato lo ha portato a creare architetture temporanee e installazioni urbane. Dalle Carpet street paintings di New York fino alla Parade Curtains della Cavallerizza Reale di Torino, l’artista sfida il concetto di permanenza, proponendo l’effimero come un catalizzatore di cambiamento sociale.
A Divago, González ha coinvolto lo spettatore nel rituale della festa, avviando anche una sorta di processo di purificazione. L’installazione infatti avvolge piazza Vacchero, famosa per la presenza della “Colonna infame”, un monumento eretto nel ‘600 che commemora l’esecuzione di Giuliano della Chiesa, noto anche come Giuliano Vacchero, un ribelle genovese che nel XVII secolo organizzò una congiura fallita contro il governo oligarchico della Repubblica di Genova. Così, l’opera d’arte contemporanea si fa carico di un gesto simbolico per purificare la memoria di un luogo storicamente connotato dal marchio del disonore e che oggi è visto come un simbolo di lotta contro l’oppressione e di riscatto popolare.