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La mostra “VENTIVENTUNO” di Daniele Puppi, in corso presso la galleria Magazzino di Roma, si presenta come un’iniezione di psichedelia lucida, un percorso che, attraverso l’appropriazione di immaginari condivisi e la costruzione di paesaggi inediti, avvolge il visitatore in un’esperienza corporea multisensoriale. Curata da Valentino Catricalà e accompagnata da una conversazione tra il curatore e Barbara London, fondatrice della Collezione Video del MoMA di New York, l’esposizione si compone di quattro videoinstallazioni collocate nei diversi ambienti della galleria: Menocchio (2021), Notturno (2020), Fantastic Voyage (2021) e Master Blaster (2020). La ripetizione incalzante delle sequenze di immagini, così come la modulazione esplosiva del suono, accompagna il visitatore in un itinerario ad alto impatto fisico, che l’artista progetta con sapienza, quasi maniacalmente. In un’alternanza di vuoti e pieni, silenzi e sovrapposizioni, Puppi arriva a innescare non solo una riflessione sulla specificità dei singoli linguaggi, ma altresì un’interrogazione metalinguistica trasversale attorno alla loro reciproca interazione e contaminazione, guardando agli stessi come strutture relazionali complesse.
La videoinstallazione posta sulla soglia della prima sala trae il titolo dalla vicenda umana di un mugnaio eretico del ‘500, Menocchio, diminutivo di Domenico Scandella. Attraverso la manipolazione di un estratto video del Mago di Oz, Puppi congela l’affannosa corsa di un essere antropomorfo nel momento della sua decelerazione, riproducendo in loop il momento del rilascio della spinta propulsiva del corpo in movimento. Il processo di alterazione dei campi energetici è indagato anche nella stanza successiva con l’opera Notturno, rimando sia alla tradizione pittorica che a quella musicale, in cui l’artista registra l’incursione di una tempesta di fulmini di fronte al suo studio. L’atteggiamento contemplativo incarnato dall’immobilità dell’inquadratura rimanda al topos classico dell’impotenza dell’uomo di fronte al fenomeno naturale, aprendo un ponte con la nostra contemporaneità — determinato inevitabilmente dalla scelta del titolo della mostra — che offre all’osservatore un momento meditativo di partecipazione, al netto di ogni giudizio, al trauma collettivo del nostro tempo.
L’eco di queste tematiche riverbera altresì nelle due opere collocate nel secondo ambiente della galleria, Fantastic Voyage e Master Blaster, che il curatore descrive assieme come un “viaggio allucinante” e un “viaggio angoscioso”, mettendo in campo ancora una volta la metafora di un travaglio esistenziale che investe non solo l’immagine, ma anche il medium, parte attiva del medesimo tilt. Come l’involucro meccanico di un sistema organico, la materia delle installazioni di Daniele Puppi crea una relazione diretta con il corpo del visitatore, influenzandone i movimenti nello spazio, quasi ad assalirlo, ricercando con esso un’inedita formula di empatia.