La mostra Desde la Frontera, visitabile al CaixaForum di Barcellona fino all’8 settembre 2024, è una presa di posizione politica, contro le barriere nazionaliste e geografiche che creano dissidi e portano a scelte drastiche e disumane, abbracciando la strategia del “sangue e piombo” invece che il confronto diplomatico. Nel suo testo critico, la curatrice cinese Mei Huang, di base da molti anni a Barcellona, sottolinea alcuni concetti: come le narrative ideologiche dettino il flusso dell’informazione e plasmino l’identità culturale; come i confini potrebbero essere ripensati, non in quanto linee rigide di demarcazione, bensì in qualità di spazi di coesistenza equilibrata e pacifica di diversi microcosmi culturali.
La mostra Desde la Frontera – From the Dividing Line è costruita con otto opere dalle collezioni della MACBA Museu d’Art Contemporani de Barcelona e della Caixa Foundation, coinvolgendo due artisti della Catalogna e uno ciascuno dei Paesi Baschi, della Murcia, dell’Italia, della Francia, del Libano e del Brasile. Tramite le loro opere, la curatrice indaga il concetto di “linea di demarcazione”. I confini possono essere visibili, sia a livello simbolico, incarnati da oggetti fisici come le bandiere, che a livello fisico, se pensiamo alle barriere geografiche e geopolitiche, ma anche astratti e “invisibili” – considerando religione, ideologia, genere, distanze psicologiche e culturali.
Partendo dall’oggetto bandiera, Banderas rotas (Broken Flags, 2014) del brasiliano Paulo Nazareth include 19 apparecchi televisivi analogici, adagiati su pallet in legno, che registrano bandiere di diverse nazionalità, mosse dal vento. Non è l’uomo a svolgere l’azione di sventolare ma il tessuto a essere sottoposto ai capricci degli agenti atmosferici, inoltre, mentre solitamente siamo abituati ad alzare gli occhi per vedere le bandiere sulle loro alte aste, in questo caso, possiamo decidere di ignorarle, di non abbassare lo sguardo su queste icone, spodestate dai loro piedistalli.
Anche l’artista basco Asier Mendizabal esplora il concetto di bandiera, immaginandone una grande 3,5 per 4 metri che sfoggia due colori il rosso e il nero. Not all that moves is red (Telón) #1 (2012), instilla la perplessità nella nostra mente. Se solitamente associamo il rosso al comunismo e il nero ai regimi fascisti-nazisti, in questo caso anche il rosso si riferisce alla matrice operaia del Partito Nazionalsocialista tedesco. Il pattern a mosaico, rosso su nero, forma una svastica lievemente scomposta. I colori rievocano anche il film Rojo y negro (1942) di Carlos Arévalo: una coppia cresce insieme per sviluppare poi posizioni divergenti: la Falange Española e il movimento anarchico Federación Anarquista Ibérica.
Grafismos de frontera (Grafica di confine, 2016) si concentra sull’idea di mappa attraverso un insieme di sei disegni di Isidoro Valcárcel Medina. L’artista spagnolo traccia il confine tra Spagna e Portogallo, scrivendo parole di uso comune in spagnolo e portoghese, riportate su carta da lucido, rispettivamente con inchiostro nero e blu. Il bagaglio linguistico definisce spesso un gruppo etnico ma essendo una convenzione artificiale, imposta dall’uomo stesso per comunicare, può andare contro natura e dividere in due fazioni ciò che è nato dalla stessa matrice.
Il lavoro Nature morte (Natura morta, 2008) dell’artista libanese Akram Zaatari, di 16 anni fa, risulta quanto mai attuale, focalizzandosi sul conflitto tra Palestina e Israele. Un video di 11 minuti e 30 secondi registra due uomini di due diverse generazioni e il loro abbraccio alla lotta armata: il più anziano lega gli esplosivi e si prepara all’attacco; il più giovane rammenda una giacca, entrambi lavorano in silenzio. Il video è girato in un villaggio nella regione nel sud del Libano, che alla fine degli anni Sessanta era una base dei Fedayn palestinesi. Si sente in lontananza da una moschea vicina il richiamo canoro alla preghiera dei devoti.
Esotro s/t (Otherone Untitled, 1999), dell’artista catalano Pep Duran, presenta cinque abiti appesi di colore nero, grigio, vernaccia e altre gamme cromatiche, le giacche dei completi vengono portati verso il basso da alcuni pesi che decorano le maniche. Quattro completi sono disposti sullo stesso appendiabiti, mentre un singolo abito nero è posto all’estremità opposta, in isolamento. Questo indumento risulta emarginato senza un motivo apparente, appare più fragile e vulnerabile.
Arriviamo ora alle barriere invisibili che nascono dalle differenze razziali, culturali, religiose, ideologiche, linguistiche. Vanessa Beecroft con la fotografia Black Virgin with Twins (2006) ricorda un episodio personale di allattamento di due orfani gemelli. La protagonista dello scatto è una donna afroamericana che assume la posa della Madonna in trono, ricordando i politici degli altari o le pale di devozione private italiane. Allatta ai due seni due neonati neri ed è coperta da un manto rosso, colore per antonomasia associato alla passione della Vergine. L’opera mette in discussione i canoni della rappresentazione religiosa cattolica e provoca un senso di stupore e dissenso nel riguardante, fa infatti riflettere sulla difficoltà di scalfire convinzioni e convenzioni secolari. Le associazioni che si formano nella nostra mente sono spesso frutto di pregiudizio o di un’assuefazione culturale dura a morire. Siamo disposti a rinunciare ad alcuni dei privilegi per sedere tutti alla stessa mensa?
Construction of the Matrix (1976), dell’artista catalano Francesc Torres presenta un cumulo di terra con una creatura rannicchiata proiettata sulla superficie. Nel mucchio di terra notiamo dei bossoli di proiettili esauriti. Sui due lati della pila sono disposti due libri aperti: Il Manifesto Comunista – illuminato da una luce più forte – e il Nuovo Testamento – sotto il getto di una luce più fioca. L’artista si interroga sulla possibilità di una nuova società che risorga dalle macerie.
Infine, Annette Messager in Jeu de deuil (Gioco del lutto, 1994) allestisce due montagne di peluche, nascoste da veli neri. Al centro, a costruire un monumento funebre le fotografie di parti del corpo di diversi individui adulti. Se quelli sotto la rete non fossero solo pupazzi ma bambini in carne e ossa, come gli ebrei assassinati nei campi di sterminio, come reagiremmo? Siamo assuefatti al dilagare del male, della violenza e della morte. Si contano più di 28mila vittime palestinesi a causa dei bombardamenti e delle retate militari nella striscia di Gaza, ridotta a un fantasma impolverato di cadaveri ed edifici rasi al suolo, le azioni militari israeliane hanno seguito l’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023. In Medio Oriente il conflitto rischia di allargarsi a macchia d’olio e il conflitto tra Russia e Ucraina non trova una soluzione.
Non a caso la curatrice conclude la sua disanima con le parole di George Santayana: «Coloro che non ricordano il passato sono condannati a ripeterlo». Dovremmo allora cambiare la nostra percezione dei confini, trovare un modo per allearsi perseguendo obiettivi comuni. Attualmente, anche solo condividere buoni propositi appare un miraggio, una patetica utopia.
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