Nel settembre del 2020 un articolo pubblicato sull’inserto “How to Spend it” del Financial Times, a firma della giornalista e curatrice Kasia Maciejowska, parlava della città di Atene come di un nuovo dinamico Hub internazionale per l’arte contemporanea. Qualcuno, come il mercante Andreas Melas, aveva affermato: “l’arte ad Atene ribolle perché la città stessa ribolle e cambia”. Il colosso Gagosian aveva annunciato durante l’estate l’apertura di una sua sede in città, la settima Biennale di Atene avrebbe aperto i battenti un anno dopo (settembre 2021) e i commenti entusiasti dei galleristi locali interpellati lasciavano pensare che la città fosse particolarmente attiva da un punto di vista commerciale. Ipotesi plausibile considerando che in un periodo di forte crisi la forbice tra i tanti sempre più poveri e i pochi sempre più ricchi si allarga. Lo stiamo vedendo su scala globale e la pandemia non ha fatto che amplificare il fenomeno.
Incuriosito da quello che sembrava un improvviso vero e proprio boom creativo e finanziario, sono voluto andare a vedere con i miei occhi per sondare quanto di verosimile e di profetico vi fosse nell’articolo. Passeggiando per la città mi sono però subito reso conto di come, ancora oggi, dopo più di dieci anni di austerity, la crisi sia ancora palpabile, di quanti edifici (villette e interi palazzi), anche in zone centrali, siano stati abbandonati, di quante attività commerciali abbiano tuttora le serrande abbassate e di quanto nel Paese sia ancora significativamente alto il tasso di disoccupazione. La città si sta risollevando ma il percorso sembra ancora lungo.
Ho visitato la Biennale di Atene curata da Omsk Social Club e Larry Ossei-Mensah, con la direzione artistica di Poka-Yio. Nonostante gli sforzi, la pandemia di mezzo, il titolo accattivante “Eclipse” e l’intento degli organizzatori di “sfidare i meccanismi oppressivi e l’idealismo obsoleto, attivare la produzione narrativa e orchestrare un cambiamento esperienziale nella visione dell’arte, aprendo un futuro alternativo per la contemplazione”, la mostra dislocata in più sedi, tra cui gli ex grandi magazzini Fokas e l’ex tribunale Santaroza, ci è sembrata confusa (nel display), con opere formalmente deboli, al limite dell’accademico/amatoriale, tranne qualche eccezione come i lavori storici di Judy Chicago e Ana Mendieta, il bellissimo video del giovane canadese Miles Greenberg, classe 1997, o la videoinstallazione in animazione 3D del danese Jakob Kudsk Steensen, classe 1987.
Poi mi sono imbattuto nella vecchia gigantesca ex manifattura tabacchi pubblica, riconvertita a centro culturale e inaugurata lo scorso giugno. Si tratta di una collaborazione tra il Parlamento Ellenico e l’organizzazione no profit NEON per commemorare il duecentesimo anniversario della guerra d’indipendenza greca. NEON, associazione fondata nel 2013 dal collezionista e imprenditore Dimitris Daskalopoulos, ha l’obiettivo di avvicinare tutti alla cultura contemporanea, far loro comprendere e apprezzare l’arte contemporanea in Grecia e soprattutto rappresentare uno strumento chiave per la crescita e lo sviluppo della città. Il Presidente del Parlamento Constantine Tasoulas ha affermato: “Con questa straordinaria collaborazione tra il Parlamento Ellenico e NEON si stanno raggiungendo due obiettivi piuttosto significativi. Il primo riguarda la riqualificazione dello spazio emblematico dell’ex Manifattura Tabacchi pubblica. Questo spazio, classico esempio dell’architettura industriale del secolo scorso, si trasforma in un ambiente pienamente funzionale e ospitale, in grado di ospitare mostre, sottolineando l’importanza di utilizzare gli spazi pubblici per l’attuazione di programmi di grande qualità. Il secondo importante traguardo raggiunto è che la mostra inaugurale dia al pubblico l’opportunità di conoscere sia l’interno della Manifattura Tabacchi — un punto di riferimento a sé, classificato come sito di conservazione storica dal Ministero dei Beni Culturali — sia quell’aspetto dell’arte per cui l’ammirazione e il godimento di essa non sono un privilegio e le creazioni artistiche non devono essere esposte a porte chiuse. L’arte, come sancisce la nostra Costituzione, è libera, e lo Stato deve provvedere alla sua promozione e al pari accesso. Con questa collaborazione tra pubblico e privato, superiamo l’impedimento che un tempo teneva i cittadini lontani dal meraviglioso mondo dell’arte, e ne proclamiamo l’accesso come diritto inalienabile per tutti.”
Gli fa eco, Dimitris Daskalopoulos, fondatore di NEON. “Sin dalla sua fondazione, NEON ha aspirato a portare l’arte contemporanea vicino ai cittadini, per connettere la nostra vita quotidiana con lo spazio pubblico urbano in modo dirompente. Negli ultimi otto anni abbiamo allestito 28 mostre in 25 sedi diverse in collaborazione con enti pubblici e privati in Grecia e all’estero. Nel 2021, mentre commemoriamo il 200° anniversario della nostra lotta per uno Stato greco indipendente e sovrano, abbiamo collaborato con il Parlamento Ellenico, la principale istituzione democratica del paese. Abbiamo ristrutturato 6.500 metri quadrati dell’iconica ex fabbrica pubblica di tabacco che con orgoglio consegniamo alla città e alla sua gente come un nuovo centro culturale, che riunisce, risveglia e fa riflettere.”
Una volta superata una fila composta, fatta perlopiù da giovani, appena varco la soglia mi rendo subito conto che la missione è stata compiuta. Entrata gratuita, organizzazione svizzera, ristrutturazione impeccabile, allestimenti curati nei minimi dettagli, una marea di giovani, entusiasti e gentili mediatori culturali sempre pronti a rispondere ai quesiti dei visitatori e a fare da guida ai tanti gruppi che formano capannelli qua e là.
La mostra inaugurale dal titolo “Portals” (in corso fino al 31 dicembre), a cura di Elina Kountouri, direttrice di NEON e Madeleine Grynsztejn, Pritzker Director del Museum of Contemporary Art Chicago — che include opere di 59 artisti da 27 paesi con ben 15 nuove monumentali installazioni site-specific (tra cui Glenn Ligon, lo stilista/artista nigeriano Duro Olowu, Michael Rakowitz, Adrián Villar Rojas e Danh Vo) —, è una boccata d’ossigeno. Una maneggevole brochure con la mappa di tutte le opere esposte ci accompagna lungo il percorso espositivo. Il titolo della mostra s’ispira a un articolo della scrittrice anglo-indiana Arundhati Roy che ha affermato: “la pandemia è un portale, una porta tra un mondo e l’altro… Possiamo scegliere di attraversarlo, trascinandoci dietro le carcasse del nostro pregiudizio e odio, della nostra avarizia, delle nostre banche dati e delle idee morte, dei nostri fiumi morti e dei cieli fumosi. Oppure possiamo camminare con leggerezza, con poco bagaglio, pronti a immaginare un altro mondo”. Lo spunto è interessante e tocca molti temi. Ma, nello sforzo e nell’arduo compito di avvicinare sempre più persone all’arte contemporanea, è realmente il concept della mostra, per quanto calzante e attuale possa essere, il tema per quanto ampio, o come vogliamo chiamarlo, a fare la differenza? Ciò che fa la differenza è la qualità delle opere raccolte, la loro fruibilità, sebbene molte di quelle presenti in mostra facciano parte della collezione del fondatore di NEON.
Alcune sono monumentali (Kutluğ Ataman, Do Ho Suh, Teresa Margolles), altre gigantesche (Steve McQueen, Glenn Ligon, El Anatsui), altre più modeste in dimensione e delicate (Marisa Merz). L’allestimento è impeccabile e lascia ampio spazio ad ogni lavoro (installati perfettamente persino nei bagni come il wall drawing di Ad Minoliti). Il percorso lineare della mostra fa inoltre dialogare figure affermate a livello internazionale con le nuove generazioni di artisti greci. L’ateniese Nikos Navridis ha collocato all’esterno dell’edificio una frase che recita: Try again. Fail again. Fail Better. In quelle poche parole c’è tutto. Il fallimento è ciò chi ci spinge a rialzarci. Per poi ricadere, ma cadere meglio.
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