Piattaforma, archivio, collettivo, “una strana macchina anfibia”, il Disobedience Archive nasce nel 2005 ed è tra i protagonisti della Biennale di Venezia. L’archivio è formato da opere di artisti, filmmaker e attivisti che indagano il tema della disobbedienza, declinata in molteplici forme e direzioni. A Venezia troviamo due nuove sezioni sulla disobbedienza di genere e sulla migrazione. Ne abbiamo parlato col fondatore, Marco Scotini.
Nel 2005, nasce Disobedience Archive. Qual è la genesi, quali gli obiettivi del progetto che hai ideato quasi vent’anni fa e quale la sua definizione (o non definizione) che reputi più pertinente?
«Nonostante i suoi venti anni, è sempre difficile per me trovare una definizione esauriente per Disobedience Archive. È una piattaforma che ancora recalcitra ad essere identificata con una formula unica o definitiva. Forse all’origine c’è stata un’alta dose di utopismo curatoriale nel pensare nuovi modi di esistenza di una esposizione come progetto polifocale, itinerante e in espansione, senza una forma definita una volta per tutte ma permanentemente “in costruzione”. Disobedience è una strana macchina anfibia: tanto estetica quanto politica, tanto immaginazione quanto azione, tanto dispositivo visionario che kit di attrezzi pronti all’uso. Di fatto opera attraverso il modello dell’archivio come forma generativa e non retroattiva. Fa ricorso alla modalità organizzativa orizzontale dell’archivio, in cui tutti i materiali condividono lo stesso livello di importanza, senza gerarchie e dove lo spettatore non solo conosce attraverso l’esposizione ma è lui stesso a crearla».
Disobbedienza è una parola complessa che si potrebbe estendere a protesta, dissenso, rivolta, insurrezione, lotta, trasformazione, rivoluzione ma anche a libertà, creatività, collettività.
«Diciamo che la disobbedienza è una sorta di paradigma dell’agire politico e sociale della soggettività contemporanea che non prevede solo forme di opposizione a norme o regole. Disobbedienza non è tanto una violazione deliberata della legge, neppure esclusivamente un fenomeno sociale di contestazione. Disobbedire non significa destituire o negare qualcosa, semplicemente. Disobbedire è, all’opposto, un’azione innovativa, sperimentale, fondativa».
L’intervista a Marco Scotini prosegue su exibart.onpaper 124. Scarica qui la tua copia
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