Come spesso accade nelle grandi manifestazioni, il bello viene alla fine.
A Kassel, invece, il “bello” (le virgolette sono obbligatorie, perché l’estetica qui é più che parca) si trova in periferia.
Sono infatti più di trenta le venues che ospiteranno la quinquennale fino al prossimo 25 settembre, sparpagliate ai quattro punti cardinali della cittadina tedesca.
Degna di nota, nell’area di Bettenhausen, è la vecchia fabbrica di Agathofstrasse, Hübner-Areal: qui potete incontrare le sonorità africane di Fondation Festival sur le Niger (quando in atto le performance) e una parete di marionette da perdere la testa. Peccato che -sempre per battere dove il dente duole- più che di arte si tratta di antropologia, di etnografia, e ancora una volta di uno sguardo ben coloniale su una diversità da cartolina, fatta dello stupore passeggero che si riserva alle culture lontane per poi ritornare al proprio quotidiano.
Già, sembra proprio che l’operazione Lumbung sia una specie di biglietto aereo di andata e ritorno con la possibilità di stivare una gran quantità di artigianato locale: come i Ruangrupa e le loro pratiche sono arrivati in Germania, dalla Germania ritorneranno e probabilmente nulla resterà in dono alla città. L’altra opinione è che -dopo questa Documenta- un nuovo “oceanismo” invaderà il mercato dell’arte globale, e il gioco del livellamento delle differenze sarà fatto passare come una specie di questione poetica rispetto ai mezzi utilizzati per costruire la propria arte.
Tornando all’Hübner-Areal vale la pena passare un po’ di tempo nei sotterranei: qui c’è il lavoro di Amol K Patil, un’installazione fatta di tre vasche di terra vibrante, il cui respiro ci ricorda in maniera poetica che siamo figli dello stesso universo senza aver bisogno di storture e artifici linguistici, e sono pregevoli anche le piccole sculture in bronzo affiancate a piccole tele disposte alle pareti di cemento grezzo di questo vecchio edificio.
In varie sedi di Documenta -dal giardino di fronte alla Documenta Halle all’esterno della vecchia piscina di Hallenbad Ost (sempre nell’area di Bettenhausen) vi sono i cartonati delle Serigrafistas Queer, collettivo di protesta LGBTQ+ nato in Argentina nel 2007 in seguito alle proteste del Paese Sudamericano, tra bandiere arcobaleno e simboli della pace, leader politici, figure religiose e chi più ne ha più ne metta, per raccogliere ben bene quello che resta della produzione rainbow più arrabbiata.
Da buttare, come del resto tutto l’accampamento nella dismessa area esterna dell’ostello Sanderhaus, sempre a pochi passi da qui: stare insieme non per forza deve significare apparire come gli ultimi della società e adattarsi al brutto. Tanto più che in teoria staremo parlando di arte nella manifestazione più blasonata dell’Occidente, o almeno di quel che ne rimane.
Nel Nordstadt, area a nord della città, in un piccolo parco urbano Jumana Emil Abboud ha realizzato un piccolo passaggio-ponte per attraversare un canaletto che profuma di fogna: ideale per potersi riposare sui tronchi di albero piantati lì come sedute.
Va meglio tornando in centro, al Rondell, antica torretta sulla riva della Fulda, dove l’artista vietnamita Nguyen Trinh Thi rielabora con musica e proiezioni una ibridazione della natura tra la sua terra d’origine e la Germania, con le note dei flauti suonati nelle comunità montane del nord del Paese asiatico. Le ombre della foresta di chili danno un senso di pace nella correria un po’ fuori tema di questi giorni.
Fuori tema, ovviamente, perché secondo i creatori di Documenta è necessario il riposo e anche nelle venues meno comuni si trovano le aree relax, dove i visitatori possono dedicarsi a qualche minuto, o ora, “off” tra divani e poltroncine di recupero. Nel parco di Karslaeu c’è poi la tenda-bosco di La Intermundial Holobiente: un bel tromp-l’œil ambientale.
Al 76 di Hafenstrasse, in un paesaggio di pura periferia tedesca fatto di grandi magazzini e store di bricolage, c’è un’altra sede che vale la pena di vedere se non altro per l’assurdità di alcuni lavori come il fotoromanzo Borrowed Faces creato dal collettivo berlinese Fehras Publishing Practices: qui tre uomini travestiti da donna raccontano la resistenza femminista attraverso la storia romanzata delle pubblicazioni che presero corpo in medio-oriente (specialmente in Libano) durante la Guerra Fredda. Un’idea talmente assurda da apparire fulminante in questa selva di buone intenzioni.
Qui ci sono anche i “fumetti” dell’artista non-binario Nino Bulling, che raccontano di amori nati e finiti nell’arco di un anno tra protagonisti ovviamente dal genere non definito.
Ancora qui, passando di sala in sala, si scopre uno spazio di disegno aperto a grandi e piccoli, con tanto di A4 appesi alle pareti -proprio come in un’aula di scuola dell’infanzia- e tra installazioni partecipative in cui in cambio di un gelato si chiede agli spettatori di ri-scrivere a piacimento le misure di un metro -sì, quello per misurare i muri nei cantieri- sia mai che prima o poi questa dismissione di generi non aiuti anche a cambiare il corso del tempo e le regole della fisica per renderci immortali (come scriveva De Dominicis nel 1971…), si incontra un lavoro così dolcemente poetico e inutile che è stato messo in angolo nascosto: si chiama Those swept away by the water/ rose up as clouds. Creato da Alif Kaaf e Khaled Muzher (*foundationClass*collective) è una proiezione in loop di un’alba e tramonto che si riflette su alcuni frammenti di vetro che -meccanicamente- vengono fatti tintinnare tra loro in un gioco cinetico di ombre. Nessuna manfrina sociale, in apparenza. Il migliore, appunto.
Dunque, questa Documenta, è tutta da buttare? Noi, nonostante tutto, non ci siamo pentiti di aver fatto tappa a Kassel: è stato curioso come mangiare una pizza in brodo -giusto per fare un paragone che potrebbe legarsi all’attività comunitaria-condivisa del rituale del cibo: una volta basta e avanza.
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