Un fil rouge della poetica artistica di Domenico Bianchi (Roma, 1955) è la ricerca di luce e trasparenza, che emerge nella scelta sapiente dei materiali: pannelli su cui troviamo cera o legno intagliato con colori ad olio e materiali luminosi (platino, argento, palladio). Bianchi esplora con questi strumenti le varie sfaccettature dell’astrattismo ponendo al centro della composizione un’unica figura, generalmente una sfera, decostruita in molteplici varianti. Allo stesso tempo attiva un gioco di contrasti, che sono visibili, nelle figure sferiche centrali che vengono attorniate dalle figure rettangolari presenti nel resto della composizione e nell’uso di texture diverse nei materiali.
Abbiamo chiesto di raccontarci di più sulla mostra al curatore Francesco Dama in una breve intervista:
Com’è nata l’dea di questa mostra?
«La mostra di Domenico è nata dalla volontà della galleria di lavorare con artisti italiani.
Domenico è legato a Roma dall’inizio della sua carriera, come del resto la galleria, che ha aperto nella capitale più di 15 anni fa».
Ci può raccontare qualcosa di più su come è nata questa serie di opere?
«Domenico lavora sempre in serie ma in questo caso le opere che sono esposte sono state create a più riprese durante l’arco del 2020. Domenico è stato costretto a interrompere il lavoro e poi a riprenderlo a causa di ciò che è accaduto durante l’anno, ma questo ha fatto si che potesse andare più in profondità. Oggi mentre parlavo con Domenico mi ha comunicato che è una mostra più profonda di quanto avrebbe potuto essere; se avesse lavorato in modo continuativo per l’esecuzione di tali opere non avrebbe ottenuto lo stesso risultato».
È già da diverso tempo che Bianchi lavora con la tecnica dell’encausto e con materiali come metalli riflettenti. In questo caso che materiali ha scelto per questa serie di opere?
«I lavori esposti sono in cera, legno e una parte ad acquerello. Domenico lavora con un materiale che è il palladio, che è comunque un materiale prezioso, ma a differenza dell’argento non brunisce con il passare del tempo. Guardando i lavori in cera, il contrasto con la preziosità del palladio si vede maggiormente; una contrapposizione di fatto tra la cera che assorbe la luce e il metallo invece che la riflette. Ci sono quindi una sorta di due forze opposte che lavorano insieme».
Quali erano le vostre aspettative per questa mostra? Come vi immaginavate l’inaugurazione?
«Dall’inaugurazione non ci aspettavamo nulla. Generalmente alle nostre inaugurazioni delle mostre è quasi impossibile camminare per quante persone ci sono. Questa è una situazione diversa ma non necessariamente peggiore. Siamo tutti contenti di avere questo risultato ed è anche la prima mostra aperta dopo un bel po’ di tempo».
Quali mostre avete in programma per il 2021?
«Fra le mostre in programmazione per quest’anno ci saranno personali di Tracey Emin, Kiki Smith e Prem Sahib».
Domenico Bianchi vive e lavora a Roma e nel suo paese nativo, Sgurgola (FR). Dopo esser stato uno degli esponenti della Scuola Romana, Bianchi ha esposto le sue opere alla Biennale di Venezia nel 1984 e nel 1993 e anche in tanti musei internazionali (Stedelijk Museum, Amsterdam nel 1994; MUMOK, Vienna nel 1998; MoMA, New York nel 1999; Tel Aviv Museum of Art, Tel Aviv nel 2007). Le sue opere si trovano nelle collezioni permanenti di diversi musei come al MACRO di Roma, MOMA di New York, MADRE di Napoli, Paul Getty Museum di Los Angeles e molti altri.
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