In un particolare martedì di fine luglio, in una Milano che si era risvegliata travolta e stravolta da una terribile tempesta notturna, Dominique White e la Fonderia Artistica Battaglia hanno aperto ci hanno aperto le porte lasciandoci scoprire l’incantesimo della fusione a cera a persa. Sembra antitetico, in una stessa frase, parlare di qualcosa di terribile e insieme di un incantesimo, eppure, se non ci si lascia ingannare dall’accezione dispregiativa che pregiudica l’uso di questo termine, sarà più facile accogliere e fare proprio ciò che Søren Kierkegaard scriveva ne il Diario: «l’angoscia è il primo riflesso della possibilità, un batter d’occhio, e tuttavia possiede un terribile incantesimo».
Interessata a creare nuovi mondi per la Blackness e affascinata dalla potenza metaforica e dal potere rigenerante del mare, Dominique White ha vinto la IX edizione del Max Mara Art Prize for Women, a cui collaborano da lungo tempo Max Mara, Whitechapel Gallery e Collezione Maramotti, con un progetto intitolato Deadweight (da deadweight tonnage, ovvero tonnellaggio di portata lorda, che in inglese significa anche peso morto): «Deadweight deriva dal gergo nautico e indica tutto ciò che si trova sulla nave come singola unità e che rivela se la nave galleggerà oppure affonderà. Il titolo viene dal libro di Katherine McKittick, Dear Science, che allude all’identità blackness come a un algoritmo corrotto in un insieme di algoritmi».
Il lavoro di White ha molto a che fare con l’acqua, con il mare, con le sue possibilità e le sue impossibilità. Racconta: «uno dei temi principali che riguardano l’acqua è l’Afro-futurismo acquatico, che è questa idea di immaginare un futuro per la comunità nera sotto il mare, in opposizione alla sua ricerca nello spazio che è all’origine dell’idea dell’Afro-futurismo». Sebbene il pensiero di immaginare un futuro nuovo all’interno della società in cui viviamo sia difficile, quasi impossibile, al cuore di questa tematica White rintraccia l’idea della nave come l’inizio del capitalismo, l’inizio dello stato nazione, «l’idea di essere contenuti all’interno di questo vascello. E quindi mi piace usare questa rappresentazione della nave come un contenitore dell’identità black».
La residenza di sei mesi in Italia, organizzata dalla Collezione Maramotti per sostenere, ispirare e sviluppare il progetto, sta portando Dominique White a esaminare risorse archivistiche e a incontrare esperti con l’obiettivo di scoprire nuove narrazioni e nuove prospettive storiche, come è accaduto a Palermo e a Genova, e a consolidare e approfondire la conoscenza dei processi produttivi, di competenze e di tecniche, come è successo ad Agnone e a Milano e succederà a Todi.
Ad Agnone, piccolo borgo del Molise, White ha incontrato gli artigiani della Pontificia Fonderia Marinelli, custodi della tradizione: dall’anno 1040 la fonderia realizza le campane dei Papi, simbolo di potere e comunità, ma anche raffinatissimi strumenti musicali, che parlano con il loro suono, la loro presenza e le decorazioni che le ricoprono. Dopo un laboratorio di una settimana, il viaggio è proseguito verso Palermo «greca per le sue origini per la luminosità del suo cielo e per le mètopi del suo museo, di bellezza non inferiore a quelle di Olimpia. Romana per il ricordo delle sue lotte contro Cartagine e per i mosaici della villa Bonanno. Araba per le piccole cupole di alcune sue chiese, eredi delle moschee. Francese per la dinastia degli Altavilla che l’abbellirono. Tedesca per le tombe degli Hohenstaufen. Spagnola per Carlo Quinto, inglese per Nelson e Lady Hamilton (Roger Peyrefitte).
Qui la Professoressa Giovanna Fiume, che ha insegnato Storia Moderna e Storia del Mediterraneo Moderno per quarant’anni all’Università di Palermo, ha accolto e accompagnato White nello studio del commercio degli schiavi nel Mediterraneo attraverso lezioni private e visite a luoghi simbolici, come il Monte Pellegrino, punto di riferimento fondamentale per i marinai, e Santa Maria di Gesù, che ospita la tomba di San Benedetto il Moro, uno dei santi patroni della città, figlio di schiavi africani affrancato alla nascita. Da Palermo il viaggio di Dominique White è proseguito risalendo per raggiungere Genova, dove è rimasta per sei settimane e insieme ai Professori dll’Università di Genova Claudia Tacchella e Massimo Corradi, si è concentrata sulla complessa storia navale, attraverso archivi storici e statali, musei, documenti e reperti. È proprio qui che White ha trovato «l’idea della nave come relitto vivente. Molta terminologia e inglese ruota attorno all’idea di vivo e morto».
L’impatto della residenza genovese, «duraturo sulla sua ricerca», ha accompagnato Dominique White fino a Milano, alla Fonderia Artistica Battaglia, dove è giunta per apprendere l’antica tecnica della fusione a cera persa e dove siamo stati guidati nella comprensione del processo. Basata sulla colatura di metallo fuso all’interno di una forma negativa, nel corso della sua lunga storia – che si attesta dal VI secolo a.C. – questa tecnica si è sempre mantenuta fedele i suoi principi originari, perfezionando i materiali e i processi. Quando White ha concepito il modello che voleva realizzare è stata seguita nella creazione di uno stampo in gesso e gomma siliconica, il primo negativo, da cui ha ottenuto il positivo in cera, duttile ed elastica, dello spessore di 5mm.
Una volta pronto e applicati dei canali di colata, fondamentali nel momento della fusione, l’oggetto viene inserito in un secondo negativo, cilindrico, in gesso e terra refrattaria, e poi riscaldato nelle stufe per a 650 gradi per 12 giorni, fino a eliminare l’acqua, la cera e i canali di colata. A questo punto si cola il bronzo, fuso a 1200 gradi, lasciandolo scorrere per riempire il vuoto lasciato dalla cera. Una volta estratta, la scultura in bronzo viene lavata, lavorata a mano sulla superficie e preparata per la patinatura a seconda della tonalità cromatica che si vuole (una meravigliosa campionatura esposta è stata realizzata come dono in occasione del centenario della Fonderia). I tempi di esecuzione sono lunghi, Dominique ha lavorato alle prime fasi, seguita con passione e profonda conoscenza per poter, nei prossimi mesi, lavorare autonomamente.
Da qualche giorno White ha lasciato Milano e ha raggiunto Todi, per affinare e testare le pratiche e gli approcci di lavorazione del metallo, visitando fonderie locali e stabilimenti metallurgici affiancata dall’artista Michele Ciribifera, assistente per trent’anni della scultrice Beverly Pepper (1922 – 2020). Gli incontri, le relazioni, gli insegnamenti e i ricordi di questi sei mesi, insieme a storie, ritmi e cronologie anticoloniali come codici interdisciplinari, vivranno nella mostra, in programma nel 2024, prima alla Whitechapel Gallery in luglio e successivamente alla Collezione Maramotti in ottobre. «Mi sento come se conoscessimo così poco riguardo al mare, che apre a delle possibilità di sognare, di immaginare, mondi o futuri diversi o addirittura storie diverse» ha detto Dominique White lasciando presagire infinite possibilità, anche quelle più inimmaginabili.
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