La pittura come ricerca formale, come trascendenza o superamento della realtà, come verità fittizia, ma anche come confessione, racconto di vita quotidiana in cui appuntare relazioni, sentimenti, affetti, umori, problematiche. Tra tutte le funzioni che la pittura è chiamata a svolgere Giulio Catelli (Roma, 1982) ha scelto quest’ultima. Simile ad un diario, la tela è per lui una pagina bianca su cui appuntare il vissuto quotidiano, definire, a sé stesso oltre che agli altri, le persone e gli oggetti cari. Che Catelli abbia sempre guardato alla realtà lo dimostrano le opere realizzate fino al 2019, lavori in cui ha frequentemente rappresentato paesaggi, vestigia antiche e contesti urbani. Com’era prevedibile tuttavia, e come è successo a molti, il lockdown ha segnato anche lui, inducendolo a concentrare il suo sguardo sull’ambiente casalingo, vale a dire su ciò che giornalmente utilizzava e guardava, e a registrare quel momento di isolamento forzato con sincero trasporto emotivo.
Una parte di questi lavori, tutti datati al 2020, costituisce oggi (fino al 26 marzo), la piccola ma preziosa personale allestita presso Richter Fine Art nel centrale vicolo del Curatolo a Roma. Solo sette opere ma dense di quel vissuto da cui traggono ispirazione, eseguite con il solo interesse «di riuscire a trasferire gli affetti e il vissuto dentro la pittura». «Nel mio lavoro – prosegue l’artista – ho capito che sono presenti diversi umori o anime che è giusto assecondare e approfondire».
Titolo e motivo generatore dell’intero percorso è Doppio ritratto, opera in cui l’artista si ritrae con modalità antica (quasi una citazione dell’autoritratto caravaggesco nel Martirio di San Matteo in San Luigi dei Francesi), entrando nello spazio della tela dal margine sinistro, mentre in secondo piano il suo compagno, non curante di chi guarda, è intento a leggere. Una scena rubata si direbbe, al pari delle altre, debitrice dell’intimità e della routine che hanno caratterizzato quei giorni.
Il compagno ritorna anche in Interno col divanetto, opera di grande formato, la più grande tra quelle presenti in galleria, che oltre a testimoniare la versatilità dell’artista, a suo agio non solo con le piccole composizioni ma anche con quelle più vaste, attesta l’efficacia della sua tecnica che non cede nelle ampie campiture, anzi ne esce valorizzata nella texture, morbida e varia. Il divanetto allestito all’ingresso, la fantasia del tessuto con i cammelli, il tappeto dalle righe rosse inchiodato al muro come spalliera e ancora dei cuscini, una conchiglia su un tavolino, un asciugamano steso in terrazza, sono questi i pochi elementi che compongono un’epopea del quotidiano, la sola consentita tra le mura domestiche. La finestra è l’unica possibilità di evasione, il contatto residuale con il mondo esterno, con quello stesso paesaggio più volte ritratto dall’artista.
Ma più che i temi, quasi obbligati per il periodo, è la tecnica a convincere. Rispetto alle opere precedenti, viste nella stessa galleria in occasione della personale del 2019, quella tendenza alla trasfigurazione che da sempre connota il lavoro di Catelli appare oggi potenziata, e anche il colore, nel suo addensarsi e diradarsi, cede talvolta a scale uniche, tendendo alla monocromia, salvo poi lasciare emergere alcuni particolari significanti. Un lavoro di sintesi che giova alla sua pittura, mostrando nell’artista un ulteriore salto in avanti.
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