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Dust of Dreams: i sogni son site specific
Arte contemporanea
E il gran finale arrivò. Considerando che Dust of Dreams tratta di sogni, se questo nostro resoconto risulterà poco lineare – e molto sui generis – date pure la colpa a quelli: non hanno né tempo, né narrazione regolari.
Incontriamo Eva Frapiccini, mente di Dust of Dreams, a Genova, tra le fitte arcate della Sala del Munizioniere di Palazzo Ducale. Mancano poche ore alla prima dell’istallazione con annessa performance, apice del progetto prodotto da AlbumArte, con la collaborazione – specificamente per il capoluogo ligure – di Forevergreen. E Forevergreen significa festa doppia: Dust of Dreams s’infila contestualmente nella programmazione di Electropark, anno 2022.
Eva è qui dopo aver carpito sogni per il mondo grazie alla Dreams’ Time Capsule (il passaggio a Genova ve lo abbiamo raccontato qui), «Progetto hub» come lo inquadra lei; dopo workshop, laboratori e tutto quanto possa rendere collettivo/partecipativo un progetto vincitore del bando ART~WAVES. Per la creatività, dall’idea alla scena, promosso Fondazione Compagnia di San Paolo. In corso, oltre alle prove dei 4 maxi schermi e dell’audio (questo opera di Sara Berts), ci sono quelle della performance. Tre ragazze, che la costumista Daniela Di Blasio ha vestito con una tuta da lavoro nera; svarecchinata con cura, fino a creare macchie coerenti con un immaginario onirico, figurativamente indefinito. Tre ragazze che «Abitano il racconto», coi loro corpi a fare da «Intermediari» racconta Daniele Ninarello. Di questa propagazione performativa Ninarello è coreografo e direttore, arruolato da una Frapiccini sostenitrice del «Ci voleva corporeità». Un effetto booster alla multimedialità video/audio insomma.
Ci siamo calati per poco più di un’ora nel “prima della prima”. Facciamo pure un’ora e mezza. In una battuta, facciamo anche due, abbiamo capito che Dust of Dreams è “multi”: multimediale e multidisciplinare. Non meno che “bi”: bicomponente. Da una parte “shakespearianamente” fatta “della stessa materia di cui sono fatti i sogni”; dall’altra un sudato prodotto di archiviazione, dotato di una codificazione specifica, di una lavorazione lunga nel tempo (Frapiccini fissa la data di partenza indicativamente al gennaio scorso), nonché degli immancabili lavori di affinamento tecnico che precedono eventi di una certa caratura. E abbiamo capito che se lavorata, o post prodotta verrebbe da dire, anche la materia di cui sono fatti i sogni tira fuori una densità e un volume inaspettati.
Inclusione, condivisione, collaborazione. Le regole di Dust of Dreams
Abbiamo preso coscienza anche di un altro fatto: che sapere se “la vita è un sogno o i sogni aiutano a vivere” poco importa quando questi hanno l’impatto umanamente attivo proposto con Dust of Dreams. Che si presenta come un avamposto della socialità, col suo approccio al partecipativo al sogno, il suo renderlo terreno condiviso e condivisibile. Il suo non essere.
Parmenide potrebbe non essere d’accordo, ma la forza del progetto sta nel suo essere e allo stesso tempo non essere. Non essere una proprietà privata di Eva ad esempio, un feudo d’artista condiviso per gentile concessione. Al contrario, immaginatevi un condominio. Nessuno si scanna, ma si collabora sulla base del confronto interpersonale. Frapiccini amministratore. Ordine del giorno: lavorare a un’installazione video a 4 schermi che offra una varietà prospettica, inglobando anche le parti video prodotte nell’ambito del workshop genovese con Squeasy film.
Un profilo altamente inclusivo per il progetto, volano per la condivisione di situazioni piacevoli o meno. In parte familiari e in parte no, ma comunque propense ad aprire persino allo spettatore le porte del condominio, col ruolo di adattare Dust of Dreams alle proprie specificità. Dipende solo da cosa si è soliti sognare.
A Dust of Dreams piace l’aiuto del pubblico, che in qualche modo se lo struttura ad personam. E non è che vieni lì a fare la bella statuina.
Il linguaggio universale del sogno
Parlando vis à vis con Eva, si è riflettuto su come i sogni implementino una visione multiculturale, accomunando latitudini e lingue distanti. Si può sognare in tante lingue diverse, ma da una parte all’altra del globo si sognano grossomodo le stesse cose. Lei l’ha scoperto negli 11 anni (dal 2011 al 2022) in cui ha girato 13 città (per l’esattezza: Torino, Bogotà, Sharjah, Stoccolma, Riga, Berlino, Dubai, Bergamo, Fittja, Cairo, Rivoli, Manama in Bahrain e Genova) con la Dreams’ Time Capsule. Una sorta di navicella-confessionale in cui raccontare i propri sogni. Una volta raccolti, questi sono stati analizzati, selezionandone quelli più ricorrenti.
È il passaggio successivo però quello concettualmente fondamentale alla realizzazione dell’intero progetto. È il capitolo in cui Eva ha lavorato sul comparto visuale, mutuando da quelle parole una lettura per immagini che ne bypassasse extra-linguisticamente la decifrabilità. Spingendosi quindi anche un gradino più su, al piano di una cultura visiva apolide, tra scene cittadine (magari di traffico) volutamente «Non definite», perché «Non volevo ci fosse un riferimento a luoghi precisi». Una scelta che Frapiccini ha maturato sperimentando: «Avevo iniziato inserendo con immagini definite, ma poi il tutto risultava troppo didascalico» aggiunge.
Dust of Dreams, un esempio di sinergia
Didascalico non è aggettivo per Dust of Dreams. Anche per via di quel ritmo rapido, attivato da immagini che rimpallano su schermi contrapposti (soluzione studiata da Eva site specific per l’ambiente), facendoti girare la testa più che in una partita di padel. E sincopato, che improvvisamente spezza, rallentando quando fissa in stop motion e schermi unificati quei sogni clou; quelli che, assumendo una modalità stereoscopica, si prendono quasi una dimensionalità piena. Una pienezza plastica, emanata anche da una messa a punto delle immagini sotto il profilo dei passaggi cromatici, oltreché del contenuto.
Il sonoro accompagna quella plasticità con la partitura di Berts, incalzata dalle campionature dei racconti che l’artista ha inserito con una certa evanescenza. E con le ragazze della performance che chiudono il cerchio vestendo video e suono, dimenandosi in maniera convulsiva quando quest’ultimo si fa mitragliante. Opinione finale e personale: Dust of Dreams è un prodotto lungo nel tempo, ma che quel tempo l’ha sfruttato bene per sviluppare il valore di una sinergia di tutto rispetto.
Se volete sguazzare nei sogni degli altri, che magari saranno anche i vostri, ricordiamo che Dust of Dreams traslocherà al Polo del ‘900 di Torino il 14 giugno, con la collaborazione di Mosaico Danza e all’interno del festival Interplay. Dopodiché si ritorna a Genova il 24 Settembre al Teatro del Ponente, ospite del Teatro della Tosse, all’interno del festival Resistere e Creare ed Electropark 2022.