28 luglio 2023

Elmgreen & Dragset e le variabili umane, al Centre Pompidou di Metz

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Il Centre Pompidou di Metz ospita una grande mostra del duo Elmgreen & Dragset, un labirinto travolgente, paradossale e irriverente, per entrare nel nonsenso della vita quotidiana

Elmgreen & Dragset approdano al Centre Pompidou di Metz con “Bonne Chance”, la prima esposizione personale a loro dedicata in un’istituzione francese con sculture, fotografie, audio, installazioni e performance. Curata da Chiara Parisi, direttrice del museo, questa magnifica mostra monografica occupa la grande navata, il forum e i tetti a terrazza delle tre gallerie.

Aperto nel 2010 e noto per il tetto iconico tutto curve e controcurve, questo edificio museale è stato progettato da Shigeru Ban, Jean de Gastines e Philip Gumuchdjian. Michael Elmgreen e Ingar Dragset, che collaborano dal 1995, giocano abilmente con l’architettura del museo restituendo al suo interno paesaggi urbani, spazi lavorativi e ricreativi. Insomma, la società occidentale tra fragilità e ritualità quotidiane con luoghi deputati come un set televisivo o una sala di monitoraggio, e un arredo urbano restituito da corrimani sfavillanti. Looking Back (fotografia, 2022), un enorme occhio, a mo’ di spioncino, rivolge lo sguardo fuori dal museo e sul passante che a sua volta diventa oggetto di interesse.

I giardini adiacenti accolgono una breve performance con due attori per un omaggio al film Querelle di Rainer Werner Fassbinder, ispirato a Querelle de Brest di Jean Genet. Due installazioni ricche di contenuto ma che fanno pensare anche al voyeur social che sbircia costantemente post e storie altrui spinto da banali curiosità. Non prosaico, l’atto di osservare è un fil rouge di questo itinerario artistico che sollecita il ruolo attivo dello spettatore lasciandolo libero di creare la propria narrazione, e per dirla con Italo Calvino qui “L’occhio non vede cose ma figure di cose che significano altre cose” (Le città invisibili, 1972).

Il forum accoglie una Mercedes-Benz con a bordo due sculture realistiche di uomini abbracciati e circondati da opere d’arte impacchettate ossia The Outsiders (2020). L’auto è parcheggiata davanti The One & The Many (2010), un edificio ordinario di tre piani e di circa 10 metri di altezza, con un atrio inaccessibile e le finestre tappate da pannelli immobiliari o da vecchi giornali. Una palazzina-scultura che riserva delle sorprese a chi sale al terzo livello del museo poiché sul tetto sta accadendo qualcosa. Resti di un barbecue, una vecchia bici e un enorme graffito narrano stralci di vita quotidiana comune a tanti di noi. L’ingresso della sala espositiva vede la scultura realistica di un bambino che scrive “I” sul fiato della vetrata, mentre alzando lo sguardo si vede un ragazzo che si regge per mano a una corda e con l’altra tiene un’asta. “Bonne chance” – buona fortuna -, viene da pensare.

Le installazioni – ognuna illuminata diversamente, vedi di giallo, viola, rosa o blu – si susseguono in un labirinto travolgente permeato dalla casualità, tra luoghi inventati e stravolti dal nonsenso della vita ma non per questo meno reali. After Dark (2022), presenta una sala riunioni con porte da cui non si entra né si esce, e un giovane addormentato sul tavolo vestito da coniglio rosa. Un lavoro questo che guarda a Severance, una serie molto apprezzata dal duo artistico che si ispira anche al lavoro di Samuel BeckettWim WendersIngmar Bergman, come alla storia dell’arte e al minimalismo.

Lungo questo percorso libero si incappa in un bagno pubblico con lavelli dai rilucenti tubi inox di scarico collegati fra loro, si sale su un palcoscenico dove si possono ricevere applausi a iosa, o si intravede una ricercatrice china su un microscopio ottico, per rilevare come importanti conquiste scientifiche siano state scoperte per caso. In un open space ordinato e abbandonato – allusione al lockdown – troviamo vari oggetti come un salvadanaio che riporta la scritta “das kapital” alla gloria di Karl Marx. Un obitorio con una cella frigorifera da cui fuoriescono le gambe di una donna e i costosi oggetti che l’hanno accompagnata nell’ultimo istante della vita, per un Memento mori che guarda all’effimera condizione umana. In una sala ristoro si può ascoltare, da una vecchia radio, una commedia radiofonica di 90 minuti scritta da Elmgreen & Dragset e interpretata da attori locali. Qui si parla malissimo di questa esposizione, di educazione e certo di fortuna.

Social Media (2022), è una scultura realistica di un bambino intento a disegnare a matita un cane Terrier, che è seduto su una giostra in movimento, dai cerchi in bianco e nero, per un clin d’œil alla Op Art. Non poteva mancare una ruota della fortuna, che non ha vincitori né vinti, perché non gira. C’è anche un tunnel, un passaggio un po’ inquietante, con diverse pubblicità come quella di un’assicurazione sulla vita, Invitam, che esibisce un biscotto della fortuna spezzato in due. Realtà o finzione? Ci sono diversi elementi accidentali che rendono ogni visita diversa dall’altra, come la presenza di attori e attrici che interpretano sculture, visitatori o custodi, confondendo di continuo lo spettatore.

«Due cose sono davvero universali, che siamo tutti nati e moriremo tutti, tra queste molte variabili», argomentano Elmgreen & Dragset. Molto altro da scoprire lungo questa mostra aperta fino al 4 aprile prossimo.

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