Marcello Barbanera, presidente del Polo Museale Sapienza, all’opening di “Noi e l’immagine”, ha dichiarato: “Il Museo Laboratorio d’Arte Contemporanea è uno dei più attivi tra i nostri musei. Non ha una collezione permanente, ma vive di mostre sempre nuove, producendo non soltanto ricerca, ma anche e soprattutto uno slancio verso l’esterno, che per la Sapienza è davvero significativo”.
La mostra “Noi e l’immagine”, esposta allo Mlac, museo dell’Università La Sapienza di Roma, fino al 9 marzo 2022, celebra il lascito fotografico dei fratelli Emanuele e Giuseppe Cavalli.
Si tratta del risultato di “un lavoro di ricerca di altissimo livello, perché dietro ogni confronto c’è una lunghissima ricerca documentaria. È la prima volta che i due fratelli vengono esposti insieme con un lavoro d’archivio puntuale” – ha sottolineato Manuel Carrera, curatore di una mostra sull’opera pittorica di Emanuele Cavalli, in dialogo con questa e inaugurata il giorno seguente, 10 febbraio, alla Galleria Nazionale di Arte Moderna e Contemporanea di Roma – “non tutti conosciamo la statura di fotografo di Emanuele che qui viene messo allo stesso livello del fratello”.
Mentre Giuseppe infatti era conosciuto come fotografo esperto, di vocazione formalista, cacciatore di immagini poetiche e rarefatte, il fratello Emanuele era noto come pittore della Scuola Romana negli anni Trenta, benché si dilettasse con la fotografia fino a sfiorare le derive dell’avanguardia surrealista.
Quando Maria Letizia, figlia di Emanuele, ha donato alla GNAM l’archivio del padre, contenente diari, lettere, schizzi e cataloghi si è potuta ricostruire con maggior accuratezza la storia dei due fratelli artisti, nativi di Lucera, in Puglia, di cui il 9 febbraio era presente con viva commozione anche il sindaco, Giuseppe Pitta.
Le centotrenta immagini in mostra, compresi due patchwork con foto di famiglia, raccontano la storia di questi Dioscuri della fotografia. Una storia che serpeggia tra Lucera, Roma, Firenze, Anticoli Corrado, proverbialmente ritenuta la città delle belle donne e degli artisti; dove i fratelli Cavalli vissero durante il fascismo, coltivando un dialogo fecondo con figure di spicco dell’epoca, quali Corrado Cagli, Luigi e Fausto Pirandello, Giuseppe Capogrossi e dove il 12 marzo si inaugurerà un’ulteriore mostra in loro ricordo.
I soggetti inquadrati spaziano dal memore affettivo al prezioso potenziale, creando ingenue suggestioni di sapore antico. Cristalli, panieri, boccette, seggiole, mestoli, pentoline, anfore, barattoli, chiavi, candele, spazzole, mollette. Ogni cosa catturata nella sua morbidezza di riflessi. Nature morte e vive, nudi, pesci, spiagge, fiumi. Nell’insieme una collana di immagini dalla consistenza ovattata e retrò, affatto pretenziosa, giacché i contesti sono quelli essenziali delle fiere di paese e dei mercatini di bambole.
Ilaria Schiaffini, una delle curatrici, ha stimato “preziosissima la collaborazione con la GNAM che ci ha prestato anche dei documenti, posti accanto agli oggetti che vengono da casa di Emanuele Cavalli”. Alcuni scatti sono abbinati infatti agli oggetti ritratti nella foto: è il caso della testa in argilla di Vera Haberfeld, moglie di Emanuele. Vetrinette allestite riportano souvenir, macchine fotografiche, petit choses bijoux, che conservano anch’essi la dignitosa grazia del caduco di cui si veste ogni immagine, a collocarsi entro una rete di posata contiguità con ciò che precede e segue il percorso espositivo.
Talvolta gli sguardi dei fotografi divergono per minimi dettagli; spesso si fondono, esprimendo infine quella medesima capacità da displeyer alla Cornell, nel costruire pupazzi con oggetti di vetro. Una levità di predisposizione da illusionista per il balocco e per il gioco allusivo, di cui senz’altro sono emblemi i cavallini di legno di alcuni scatti.
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