Il mondo dell’arte contemporanea, vedetta dei sentire attuali profondi e del guardare oltre, spinge da anni ad avere uno sguardo altro sulle cose. Oltre ai nuovi materiali e linguaggi espressivi utilizzati, si esplorano anche luoghi diversi da quelli istituzionali. Il luogo altro stimola modi diversi di vedere e percepire le cose e un’accoglienza delle opere non formale, ma partecipata e inclusiva, nel quale gli attori sono plurimi: curatori, artisti, performer, spettatori. La giovane curatrice Sara van Bussel, formatasi in Olanda e in Italia, per la sua intrigante mostra “Look at me”, che è durata solo la notte del 10 novembre, ha scelto lo strip club Luxy Club di Milano che, tra le 22:30 e le 5, ha ospitato, in contemporanea al normale andamento della serata, l’interazione con gli artisti scelti dalla stessa van Bussel.
La mostra “Look at me”, organizzata da OTTNprojects, con la direzione artistica di Manuela Nobile e il sostegno della Fondazione Marcelo Burlon, rientra negli obiettivi del gruppo di giovani curatrici che, oltre a promuovere artisti, si propone «Di avvicinare fisicamente l’arte alle persone» e di operare per la società , facendo arrivare l’arte a persone che normalmente non frequentano luoghi preposti all’arte e, allo stesso tempo, conducendo persone del mondo dell’arte in altri luoghi, facendole così interrogare sul senso del messaggio trasmesso dagli artisti da una parte; indagando sull’ambiente in cui si usufruisce delle opere, dall’altra.
I tre artisti hanno utilizzato una incredibile varietà di mezzi espressivi anche molto diversi tra loro, rispettando sempre il luogo e le azioni delle ragazze in scena, senza mai interrompere il loro flusso, anzi adattandosi a esso, anche loro apparentemente coinvolti in un altro tipo di danza. Giulia Crispiani, con Gustosa e Saliva ha creato una poesia che scorreva su di un video. Michele Rizzo, interessato allo sguardo, ha fatto eseguire sul palco una performance a una delle ragazze che, continuando a ballare, invece di guardare all’esterno, quasi in trans, guardava in sé a occhi chiusi. Flaminia Veronesi ha creato due arazzi che ha chiamato Sirene e una serie di disegni e dipinti. Si è resa anche protagonista di una performance: disegnava le ragazze (che volentieri si prestavano) e i suoi disegni apparivano in contemporanea su di un video.
L’idea della curatrice è avulsa dall’intento di condurre una battaglia politica sullo sfruttamento del corpo delle donne o del sesso a pagamento, piuttosto è il tentativo dell’accettazione del piacere in quanto tale, del considerare il lavoro delle ragazze come qualsiasi altro tipo di lavoro.
Rimane il dubbio, ma è una considerazione del tutto personale, che operazioni del genere aiutino a rendere normale un piacere monodirezionale, un ennesimo tipo di consumismo, un’inesistenza di relazione.
La mostra ha avuto un enorme successo di pubblico “misto” (fila fuori fino a tardissima notte) ed ha sicuramente il grande merito (a prescindere dalla qualità delle opere) di aver creato un’interazione tra mondi diversi, di far riflettere su cosa sia l’erotismo, il pregiudizio, il piacere estetico e sessuale.
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