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Essere Pittura. L’arte “ignorante” di Mirko Leuzzi alla Galleria Fidia
Arte contemporanea
Sarà visitabile fino al 21 novembre prossimo la mostra dal titolo “Essere Pittura” dell’outsider Mirko Leuzzi, in corso a Roma nelle sale della Galleria Fidia, con un testo in catalogo di Gabriele Simongini. Un’esposizione che non lascia dubbi sulle potenzialità del giovane artista romano. Sebbene solo recentemente egli abbia approcciato da autodidatta l’arte, nei suoi dipinti si può già cogliere una ricerca strutturata, profonda. Ne parliamo con il gallerista Fausto Fiume e con Mirko Leuzzi.
Fausto Fiume, la sua è una delle gallerie storiche di Roma, cosa la ha portata a esporre le opere di Mirko Leuzzi?
«La mia galleria è aperta dal 1974, siamo una realtà storica e per questo siamo concentrati sul secondo mercato, sulla compravendita. Tuttavia, qualche volta mi piace lavorare con gli artisti giovani, cecando di selezionarli in base al mercato, al mio gusto personale e poi, siccome sono un sentimentale, anche per il loro rapporto con l’arte. Mirko Leuzzi colpisce per la sua intraprendenza e per la sua passione: ha approcciato la pittura nel 2020, per fare un regalo di compleanno alla sua ragazza, lasciandosi poi coinvolgere al punto da farla diventare il suo mestiere. Pensando a questo, è sorprende l’istintività innata che Mirko ha nei confronti del colore e del segno e, parlando di resa pittorica, stupisce la capacità di raggiungere in breve tempo una cifra stilistica così ben delineata».
Secondo lei, oggi come oggi possono avere mercato le opere di un ragazzo poco conosciuto ma con potenzialità?
«Gestisco una galleria che ha 50 anni di attività. Noi abbiamo sempre seguito un filone storico, per esempio siamo stati i primi a trattate le opere di Enrico Castellani, facciamo un lavoro sulla qualità. Mi piace vendere le cose per quello che valgono. Leuzzi ha sicuramente spazio sul mercato. La sua produzione interessa molto, la gente rimane colpita dalle sue cromie o dalle tematiche che tratta, i suoi quadri fanno subito presa sul visitatore che entra in galleria e acquista le opere. Questo artista, prosegue Fiume, non ha paura di confrontarsi con le dimensioni della tela, ciò che meraviglia è che questa ricerca per lui è del tutto innata. Come anche il discorso intorno all’universo femminile: Mirko raffigura donne reali, il cui mondo viene indagato con inquietudine per comprendere cosa fanno, cosa vogliono, cosa aspettano, cosa stanno nascondendo».
Mirko Leuzzi, parlaci di come sei arrivato un po’ per caso nel mondo dell’arte…
«Cosa dirti, per qualche ragione ho provato a dipingere, come faceva l’uomo nelle caverne. Qualcuno ha capito il mio messaggio e tutto è iniziato. Un gesto che, senza rendermene conto, ho attuato e si è trasformato in arte. Dal niente il mio canone estetico è diventato un modello. Adesso per me il fare arte è una responsabilità. Come un supereroe che ha i poteri e deve salvare il mondo, per me è come se per ogni ora che passo senza dipingere ne risentisse un po’ la bellezza.
Quando tu fai una cosa per te semplice, ma che gli altri avvertono dentro perché gli ricorda il passato, un amore finito, un padre morto e li fai pianger, allora ti senti potente, come quello che scrive una canzone e la fa cantare a 800mila persone. Questo scambio con gli altri mi ha fatto capire che la cosa più importante non sono i soldi che possono arrivarti da ciò che fai, ma il rispetto della gente, quella che adesso ti guarda con un occhio diverso, perché do loro una cosa che gli piace tanto, ovvero le emozioni».
Quali suggestioni, o riflessioni, ti hanno spinto a elaborare le opere per questa esposizione?
«Ho paura, tanta, e le figure che rappresento sono figure che hanno paura del confronto con la vita, con un partner, con la realtà e, quindi, tiro fuori questa parte di me che normalmente non faccio mai uscire. Le mie opere mostrano il Mirko pauroso della vita, quello debole, tenero, un altro “io” che metto sulla tela perché è quello lo spazio in cui voglio che appaia. Un Mirko che immagino di far uscire con queste figure femminili. Le donne poi, non so neanche perché, forse perché mi piacciono le donne, forse per la mia parte femminile, non lo so».
Perché hai scelto questa cifra espressiva? O è tutto nato spontaneamente?
«A caso, tutto a caso, non ho deciso nulla. L’unica cosa che ho scelto sono stati gli occhi bianchi. L’uso del bianco in generale, il colore che mi emoziona. Diciamo che non ho problemi a lasciare qualcosa bianco, questa è l’unica cosa che ho scelto, in cui mi identificano, tipo una firma».
Come definiresti le tue opere, la tua ricerca artistica?
«La mia è un’arte ignorante. I miei quadri devono essere come un tramonto, un cielo stellato, sono cose che emozionano, non devi studiare per far emozionare. La mia arte non è per gente che ha studiato, non ci sono domande da fare intorno alle mie opere. Io sono ignorante e faccio cose che altra gente ignorante può capire. Il giorno in cui non mi capiranno più gli ignoranti, significherà che io ho finito di fare il pittore».
Pensi di aver trovato nella pittura la chiave del tuo riscatto?
«Sì. E mi reputo fortunato, sai quanta gente non ha ancora capito cosa si porta dentro, chi è: quella è una sensazione che conosco molto bene…Ma mi ritengo fortunato perché l’arte mi ha fatto capire che avere una forte sensibilità vuol dire soffrire tutta la vita e lottare tutta la vita. Però questo ti permette di ottenere i risultati più grandi di chi non lascia spazio alle emozioni».