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Eugenio Tibaldi, Balera – Galleria Umberto Di Marino
Arte contemporanea
Torna il lavoro di Eugenio Tibaldi alla Galleria Umberto Di Marino, dopo l’ultima personale – di una lunga serie che ha rinsaldato negli anni il rapporto tra artista e gallerista – nel 2019, nell’ambito della rassegna “Visto da qui”.
In questa occasione viene presentata parte del progetto Più là che Abruzzi, realizzato sempre nel 2019 e con la cura di Simone Ciglia. La linfa feconda delle periferie, che Tibaldi instancabilmente ricerca e stilla errando in lungo e in largo ai margini delle città, proviene stavolta dalla provincia abruzzese, “al di là” degli Appennini. Ma di Francavilla al Mare, tradizionale meta estiva sul litorale adriatico, l’artista scandaglia ora le insidie di una marginalità che è anzitutto percepita, oltre che indotta da fattori storici ed economici. L’indagine sul territorio in cui si innesta di volta in volta la propria pratica artistica, suo costante modus operandi, è partita da un questionario sottoposto agli abitanti di Francavilla, per approdare a una serie di strutture ibride, in cui l’elemento naturale e quello domestico, il relitto tecnologico e il reperto preindustriale danno forma a composizioni in bilico tra l’organico e l’inorganico, il vitale e l’inerte.
Montaggi di objets trouvées nel peregrinare dell’artista, testimonianze di racconti, di vite, di desideri che prendono corpo negli assemblaggi progettuali – anch’essi in mostra – prima ancora che nelle installazioni. Misurando di quella comunità aspettative e disagi che vengono fuori dai questionari raccolti, da cui l’artista ancora una volta seleziona ed estrae visioni e suggestioni, Tibaldi mette sapientemente insieme paesaggi reali e paesaggi dell’immaginario, aspirazioni e timori che prendono corpo in lavori ibridi, talvolta instabili, talaltra ironici. Se in ogni episodio si possono scorgere i caratteri di bizzarri diorami di cui non è dato sciogliere del tutto l’enigma, è nel dialogo tra opera e progetto, accostati eppure autonomi l’uno dall’altra, che notiamo assonanze probabilmente e parzialmente rivelatrici del processo ideativo.
Associamo così il desiderio di un clima diverso con un ventilatore o un profilo di montagna, una propensione al contatto con l’altro con una sorta di girotondo di corpi attorno a un televisore, un orgoglio locale emigrato con souvenir a rischio di crollo.
Negli ambienti della galleria, rischiarati solo dall’intima illuminazione delle opere, le tre installazioni ricompongono scenari che affondando le proprie radici nel vissuto della comunità, ne restituiscono un’immagine tutt’altro che lineare, piuttosto emersione di stati dell’inconscio. Di quel luogo cioè troppo spesso lasciato in disparte e di cui sappiamo e non sappiamo, come in una chiassosa adunata festante. Una Balera, appunto.