Riporta “i pittori nei loro luoghi” la ricerca di Carmen Lorenzetti che prosegue, sostenuta dall’Accademia di Belle Arti di Bologna per la quale lavora, col dedicare progetti di mostra a ex-studenti diventati artisti internazionalmente riconosciuti. Luoghi “dai confini complessi e stratificati” naturalmente, come dimostrano i lavori di Pierpaolo Campanini (Cento, 1964), Andrea Facco (Verona, 1973), Marco Neri (Forlì, 1968), Alessandro Pessoli (Cervia, 1963) e Leonardo Pivi (Cesena, 1965), riuniti nella collettiva “EX4”.
Quarta edizione di EX, appunto, che segue a quella inaugurale 2016 al Museo MAMbo di Bologna con Riccardo Baruzzi, Paolo Chiasera, Flavio De Marco, Michael Fliri, del 2018 nell’Aula Magna della stessa Accademia con Cristian Chironi e Margherita Moscardini, e del ‘19 con Andrea Galvani e Andrea Nacciarriti all’Opificio Golinelli, sempre a Bologna.
Una mostra di pittura e sulla pittura, come emerge dalle articolate riflessioni che esprime nel catalogo la curatrice: indagati i profili e le opere di ognuno degli artisti, nella propria evoluzione di pensiero e di produzione, in un’analisi più ampia sullo stato dell’arte, sui mezzi della pittura italiana contemporanea. Temi, approcci e differenti tecniche permettono un raccordo con i topoi della storia della pittura, consacrando “il ritorno di oggi […] alle specificità di media consapevoli della propria storia”. E attraverso la buona pratica di cinque protagonisti maschili dell’arte italiana contemporanea, è posta un’interessante questione sull’interpretazione dei concetti di spazio, pittorico e naturalmente semantico, e di luogo, di provenienza e di destinazione…
Oltre che lo status di ex allievi dell’Accademia di Belle Arti di Bologna e, come scrive, l’ “affinità generazionale”, quali le tangenze intraviste nei loro percorsi individuali? Le opere esposte si guardano e dialogano anche?
La mostra vive di sottili corrispondenze ed affinità elettive, che sono più carsici percorsi sotterranei che evidenti relazioni. Nell’allestimento si è cercato di evidenziare assonanze, rimescolare le carte e il risultato è di grande armonia ed eleganza. Forse quella formazione comune, negli stessi anni, quando si stavano acquietando i frastuoni della Transavanguardia, che rimaneva tuttavia punto di riferimento, restituisce un punto di partenza. Vi è anche un gusto per la sperimentazione, l’ibridazione di tecniche e materiali, che li accomuna. Ma poi, è evidente, ciascuno – e sin dall’inizio – ha una poetica di forte impronta individuale che oggi, a distanza di qualche decennio, è giunta a piena maturazione.
L’idea guida di EX (mostre collettive dedicate ad ex-studenti) è stata raccolta quest’anno per esempio anche dall’organizzazione dei festeggiamenti per il cinquantenario del corso di laurea DAMS dell’Università di Bologna. Come per l’Accademia, gli ex alumni con le carriere più brillanti portano valore e conferme all’Istituzione che li ha formati e raccontano l’operato dei maestri. È nelle intenzioni che la funzione di questo progetto, oltre che espositiva, sia anche passare ai nuovi studenti la necessità di formarsi seriamente? Li rende potenzialmente consapevoli delle necessità che il sistema dell’arte richiede, anzi detto, pretende in questo tempo?
Il progetto, oltre alla mostra, prevede workshop e conferenze tenute dagli artisti per gli studenti dell’Accademia di Belle Arti di Bologna. L’intenzione è quella di dare degli esempi vincenti agli studenti, mostrare delle esperienze, dei pezzi di vissuto e dei percorsi che possano funzionare da “exempla virtutis”. La volontà è quella di ampliare l’offerta formativa, fornire input nuovi e mostrare il funzionamento del sistema dell’arte attraverso l’esperienza viva degli artisti. Sono d’accordo con la bontà di una formazione aperta, piena di spunti e di stimoli, che possono venire, oltre che dai docenti da apporti esterni, esattamente come descritta nell’ormai storico libro di Yves MichaudInsegnare l’arte? Analisi e riflessione sull’insegnamento dell’arte (1998). Il libro parlava delle aule delle Accademie come luoghi dell’attraversamento, non come luoghi chiusi e autoreferenziali.
Come afferma sempre nel catalogo, si tratta di “educare uno sguardo in grado di distinguere la qualità di un’immagine”…
Credo che tutti in Accademia possano collaborare a coltivare lo sguardo, ad allenare a distinguere la qualità dell’immagine. E penso che questo sia un tema cruciale in questo periodo storico di totale assuefazione ed accecamento dell’occhio. Per questo le Accademie hanno l’importante funzione storica e critica di costituire un baluardo di pensiero.
Si sceglie di ambientare questa penta-mostra nello storico Salone degli Incamminati della Pinacoteca di Bologna, storica vicina di casa dell’Accademia di Belle Arti. Che rapporto mantengono ad oggi queste istituzioni?
Questa è una domanda che sarebbe giusto rivolgere alla Direttrice dell’Accademia di Belle Arti di Bologna, la Professoressa Cristina Francucci, che intende coltivare in modo particolare il rapporto tra Pinacoteca Nazionale e Accademia di Belle Arti di Bologna. Posso solo dire che il Salone è una co-gestione tra le due istituzioni e infine che le stesse hanno in comune anche il cortile, luogo che alla luce del sole racconta di una continuità: il luogo dove l’arte nasce e si produce e il luogo dove essa si conserva da due secoli. Lungo e affascinante sarebbe raccontare la storia comune delle due istituzioni, ma non è questo il momento.
Storica dell’arte, e-writer e fotografa, collabora con il Dipartimento delle Arti Visive dell’Università di Bologna dove si è specializzata in Psicologia dell’arte con una ricerca in Neuroestetica. Dal 2011 lavora nell’editoria e nella Comunicazione & Marketing aziendale. È socia della IAAP - International Association for Art and Psychology, impegnata in azioni di promozione culturale.