Ci voleva questa preziosa mostra “Opere dall’Apocalisse. Dipinti e disegni inediti degli anni Ottanta di Fabio Mauri” (1926-2009), a cura di Francesca Alfano Miglietti in collaborazione con Studio Fabio Mauri e Hauser &Wirth, per comprendere la poliedricità della sua vasta ricerca artistica, in cui anarchica e critica, etica ed estetica , filosofia e poesia convergono; insofferente com’è a qualsiasi etichetta o griglia stilistica.
Questa esposizione che ha richiesto due anni di studio è un progetto espositivo che inscena su due piani della galleria milanese Viasaterna, un racconto visivo oltre l’Apocalisse, intesa come opportunità di “rivelazione”, scoperta , “disvelamento” ; un viaggio nell’inconscio dell’umanità attraverso una raccolta di disegni, dipinti, in cui anche una fotografia rarissima della celebre perfomance Ebrea (1971), di cui è proiettato il video integrale , s’inserisce perfettamente nel percorso espositivo .
Per Mauri l’Apocalisse attraverso la serie di Dramophone, opere Senza Titolo o Scorticati non è il fine ma il mezzo esplorativo, per una immersione e condivisione nel Caos della condizione umana.
Fabio Mauri, artista, scrittore, drammaturgo, docente, provocatore culturale che ha conosciuto in prima persona gli inganni e lacerazioni delle ideologie è noto dagli anni Settanta per la sua componente ideologica dell’avanguardia linguistica. Tra le altre performance è celebre Che cosa è il fascismo a Roma (1971) che ripeterà alla Biennale di Venezia e a New York e la performance Natura e Cultura, Oscuramento e Muro d’Europa. Ricordiamo che nel 2015 alla Biennale di Venezia, Mauri è invitato a rappresentare l’Italia nel padiglione Centrale, dove si allestisce la performance Che cosa è la filosofia, inoltre ha pubblicato molti saggi su riviste e cataloghi d’arte. La sua estesa attività è raccolta nel lavoro editoriale Io sono ariano (ed. Volume!, Roma, Lampi di Stampa/Milano).
Ancora una volta e non poteva essere diversamente, l’artista dall’alto della sua anarchia espressiva anche con questa inedita produzione dimostra come e perché il suo pensiero è sempre contemporaneo. Non è mai faziosa, nostalgica la sua analisi lucida e spietata del potere e dai meccanismi perversi. Di Mauri conosciamo -chi più chi meno- le performance, le installazioni, l’attività teatrale e i suoi scritti, lavori impegnati contro le ideologie, ma non i 51 disegni esposti in questa imperdibile mostra.
La sua vasta produzione non smette di invitarci a riflettere sulla fragilità della nostra morale e la pervasività di insidiose ideologie cha passano da fascinazioni coreografiche e teatralizzazioni d’impatto scenografico di facile seduzione. Ideologie mai del tutto sopite che ancora covano sotto la cenere di democrazie fragili (sovranismo, popolismo, razzismo, antisemitismo, ecc), ma questi i disegni sono altro, comunque elementi di un’unica necessità espressiva dell’artista.
In questa rigenerante carrellata di opere su carta tutto sembra scorrere come l’acqua e il cielo è terso e trasparente , si vedono panorami inediti di primavere temperate dal calore del sole. Sono una gioia per gli occhi i suoi disegni, scarabocchi colorati o in bianco e nero dal tratto quasi fiabesco, fanciullesco; e mentre li guardiamo incantati dalla fluidità del segno nella galleria milanese white cube irrorata dalla luce che proviene dalle finestre, nel suo tratto fluido circola l’aria fresca di scorci naturali sotto il cielo azzurro che aprono il nostro sguardo verso orizzonti aperti.
Così tra il motivo ricorrente nella sua produzione del disco Dramophone, trombe simboliche non minacciose che preannunciano la fine Senza Titolo, alberi e montagne, fino a Come far rivivere una pianta morta, qua e là sembrano spiccare il volo esserini fragili in balia del vento verso l’immesità del cielo.
Sono opere che svelano un mondo intimo, come riflessione sull’arte che dagli anni Ottanta recupera figura e colore, transizioni segniche anche come atto liberatorio da sterili cliché, capaci di imbrigliare gli artisti in stupidi pregiudizi che non permettono di comprendere la loro attività e il valore della loro produzione dal segno mobile che cambia nel corso del tempo, come il pensiero e il loro sguardo sul mondo. Mauri, in questa esposizione ci travolge dentro a spirali e cerchi di leggerezza, in cui armoniosamente coesistono frammenti di un tempo interiore con informazioni e trasfigurazioni di un tempo storico, intorno al grande tema dell’identità , con disegni poetici di una struggente ma ineluttabile fragilità umana. Scrive Miglietti: “Per Mauri il disegno sembra fungere da metodo di ricerca e parallelamente a zona franca della visione, ed è proprio per questa dualità , ancora una volta, che evidenzia l’attitudine di Mauri a non irrigimentarsi in nulla di dogmatico e definitivo”.
Sarà forse per questo anelito alla leggerezza che sentiamo l’artista non più giudice indagatore ma umano nelle sue disgressioni intimiste? Al piano inferiore oltre a The End (1960-2005), merita di essere ascoltata l’intervista video per ascoltare la sua voce dal vivo; e scoprire come e perché per Mauri il mondo si fa schermo visivo e cause ed effetto di riflessione morale e etica attraverso l’arte.
Alle Gallerie d'Italia di Vicenza, in mostra la scultura del Settecento di Francesco Bertos in dialogo con il capolavoro "Caduta…
La capitale coreana si prepara alla quinta edizione della Seoul Biennale of Architecture and Urbanism. In che modo questa manifestazione…
Giulia Cavaliere ricostruisce la storia di Francesca Alinovi attraverso un breve viaggio che parte e finisce nella sua abitazione bolognese,…
Due "scugnizzi" si imbarcano per l'America per sfuggire alla povertĂ . La recensione del nuovo (e particolarmente riuscito) film di Salvatores,…
Il collezionista Francesco Galvagno ci racconta come nasce e si sviluppa una raccolta d’arte, a margine di un’ampia mostra di…
La Galleria Alberta Pane, 193 Gallery, Spazio Penini e Galleria 10 & zero uno sono quattro delle voci che animano…