L’ Opera al nero è il titolo di un romanzo storico di Marguerite Yourcenar (1968), ambientato a Bruges e altri luoghi nel XVI secolo, e narra le vicende di Zenone, il protagonista che intraprende un percorso iniziatico alla ricerca di se stesso, a cui Fausta Squatriti ha dedicato un ciclo di lavori realizzati nel 2009.
Con opera al nero si indica la fase alchemica di spoliazione delle forme, della dissociazione degli elementi e di purificazione della materia detta anche la Nigredo, termine latino che significa colore nero o nerezza e corrisponde alla prima fase della creazione della Pietra filosofale, quello della putrefazione e disintegrazione.
Fausta Squatriti, giunta alle soglie dei suoi splendidi ottant’anni, poliedrica artista milanese di fama internazionale, poetessa e scrittrice, con la mostra “Opera al nero” alla Chiesa di San Bernardino alle Ossa di Milano, in piazza Santo Stefano a Milano, a cura di Elisabetta Longari con la collaborazione della Galleria Bianconi, organizzata dall’Archivio Squatriti, parte dal principio creativo universale dell’arte come vettore di superamento della morte.
Nel suo lavoro ragione e sentimento, rigore e caos, materia e spirito, geometria, astrazione e colore, natura e artificio configurano riflessioni sul significato dell’esistenza attraverso opere che interagiscono con il cosmo, la filosofia, il mito e la religione. Tutta l’arte ruota introno alla condizione dell’uomo, nello spazio e nel tempo, e la morte è la croce e delizia dell’umanità.
Squatriti è un’atea atipica, cita il sacro costantemente nel suo lavoro senza rappresentarlo, includendo altri temi quali verità e giustizia, bellezza e violenza, in bilico tra astrazione e figurazione, estasi ed eresia. Da sempre è sedotta dall’arte sacra, dall’iconografia dei martiri e flagellazione del copro e da tutto ciò che ruota intorno alla trasformazione di elementi vitali in reperti di trasfigurazione dalla vita alla morte; in alcuni lavori utilizza anche tracce organiche come indici di corrosione della materia fino a diventare altro da sé.
Con Questo progetto site-specific ideato in concomitanza con il Miart , l’artista ci invita a riflettere sul memento mori, e nella chiesa del Santuario di San Bernardino alle ossa, dalla grande croce in ferro al dittico di forte impatto teatrale stridono con il contesto ma proprio da questo innaturale contrasto si generano cortocircuiti visivi e cognitivi sul valore simbolico dell’arte: la materia per esorcizzare la morte. I disegni realizzati per la mostra incastonati nell’ossario adiacente alla chiesa, un ambiente già di per sé carico di pathos, sembrano sempre stati lì a porci domande che non trovano risposte sul senso della vita nella morte.
Se per l’alchimista il fine ultimo è la trasformazione dei metalli vili all’oro, per Squatriti la morte diviene metaforicamente l’oro, materia stessa di vita, oggetto, volume, segno inteso come unità tra spirito e corpo.
Se la religione ha scisso l’anima dal copro, Squatriti li ricongiunge attraverso l’arte, strumento di creazione umana con diverse tecniche e linguaggi e nel suo rigoroso maniacale fare ciò che non esiste in natura, s’inventa nuove forme che sottendono la vita anche nei materiali di scarto utilizzati in alcuni lavori.
Le tre fasi alchemiche sono Nigredo o Opera al Nero, Albedo o Opera al bianco e la Rubero, Opera al Rosso, e sono questi i colori dominanti nelle opere di Squatriti che producono simbolicamente un elisir di lunga vita.
Creare è rinascere, bisogna morire per privarsi della zavorra della carne? Mondare il proprio corpo attraverso la putrefazione della carne e anelare all’etrnità? Siamo il cumulo di ossa che strutturano il nostro corpo, il teschio che delinea la nostra l’effimera bellezza della giovinezza e ci ricordano che in noi alberga la morte. Le ossa sono il ready made del memento mori, lo sono di più nell’ossario milanese, dove i disegni di Fausta Squatriti rivisitano il genere della Natura Morta, delle Vanitas seicentesche, volte a inscenare l’autopsia della caducità, dell’instabilità, della vulnerabilità del corpo, scavando nel profondo di ognuno di noi sulla verità della morte senza retorica ma lo fa tratti poetici.
Così tra repulsione mista all’ attrazione, sacro e profano, Squatriti laica convinta si fa strumento di una sottesa spiritualità “fredda” impressa nella sua ricerca artistica da anni. I sui disegni tra “mosaici” accumulati in un ambiente oscurato s’incastrano come sussulti di poesia, ci appaiono come aneliti sommessi di vita che in maniera sempre più intima sfidano il nostro sguardo.
Senza neppure rendercene conto, noi che guardiamo diventiamo suoi complici di un meccanismo perverso, cadiamo nella trappola teso da sillogismi mentali proprio nell’osservare i particolari delle sue opere, linfa vitale per alimentare il dubbio dell’esistenza di Dio e il valore dell’arte che lo evoca, anche nella scomposta bellezza della mostre seppure in maniera non tradizionale.
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