16 SETT 2020 – 01 OTT 2020. Due date. Di inizio e fine. Nel mezzo, migliaia di altre date che si confondono, si sovrappongono, segnano il tempo. Il suo trascorrere. In questo loro rincorrersi, susseguirsi, accavallarsi, creano un’immagine, danno forma a un pensiero, a un’idea, a una visione. Plasmano le riflessioni di Federico Pietrella (classe 1973, romano di nascita, berlinese di adozione) che, proprio a partire dal 16 settembre 2020, ha iniziato a dar corpo ai propri quadri, ai suoi paesaggi e panorami e ritratti, con i suoi ben noti timbri. Ma non tra le pareti del suo studio. Bensì trasformando la galleria Ex-Elettrofonica nel proprio laboratorio. E nell’arco di tempo compreso tra il 16 settembre e il 1° ottobre 2020, Federico Pietrella inizia e conclude il suo primo lavoro per la personale che, per le vicissitudini legate alle norme covid, e conseguenti slittamenti, ha inaugurato il 19 dicembre. Così, con la porta aperta e la grande vetrata che consente di vedere all’interno, chiunque, volendo, poteva osservare il procedere del lavoro di Federico Pietrella, chiedere, chiacchierare con lui, al fine di allacciare, così, una relazione, ancor più agognata in questo periodo di privazione forzata. Una mostra, dunque, che, oltre ad essere stata realizzata site specific, per e nella galleria, nel suo costruirsi, nel suo working in progress, ha mostrato anche l’atto performativo che sottostà ad ogni lavoro, ad ogni creazione artistica, quel tu per tu con la tela, affrontato con una indiscussa e mai abbandonata manualità.
E il primo lavoro, quello realizzato tra il 16 SETT 2020 e il 01 OTT 2020, è una grande tela su cui galleggiano, leggere, su un terso blu, delle morbide e rotonde nuvole. Perché, come dice lo stesso artista attraverso il titolo della mostra, My time is your time (simbolicamente mutuato dalla canzone di Rudy Vallee del 1929, nella quale si canta di un’America in ginocchio per il crollo della borsa di Wall Street), mai, come in questo momento di pandemia, di tempo sospeso, tutti condividiamo lo stesso tempo, la stessa sospensione, le stesse apprensioni e difficoltà. “In questo periodo di incertezze totali – afferma Federico Pietrella durante una nostra chiacchierata nei primissimi giorni del suo agire nella galleria – mi sono adeguato, non so quanti quadri farò, né con quali soggetti”. Immediatamente ribatto: “ma questo attuale stato di precarietà, non è aggravato ancor di più dal fatto che questo non è il tuo studio?”. “Sì – risponde – ma è un po’ uscire dalla tana e mettermi in un’altra condizione, perché mi piace fare delle cose senza un preciso obiettivo finale, mettermi in altre situazioni e poi capire se mi piace, se mi trovo bene” perché, come ama affermare, “il primo passo non ti porterà dove vuoi andare, ma ti porta via da dove sei”, facendo propria la massima di Alejandro Jodorowsky.
Periodicamente sono passata davanti la galleria, per osservare come pian piano prendeva forma la mostra, come acquisivano vita e corpo i quadri, passando a ottobre, ripassando a novembre, fino al giorno dell’opening, seguendo il suo costruirsi con la stessa meraviglia con cui si guarda un germoglio che cresce o un fiore che sboccia. In linea con la sua pratica artistica, anche in questa mostra, Federico Pietrella ha realizzato quadri con momenti di vita quotidiana, tratti dalle fotografie che abitualmente scatta e che, dopo aver selezionato, riporta sommariamente sulla tela, per procedere con le “velature” dei timbri per ricostruire, in questo modo, come in un puzzle, nella giustapposizione del timbro, l’immagine finale, facendo completamente propri gli insegnamenti di Giovanni Segantini e Giacomo Balla.
Solo ammirata da distante, la tela è percepibile nella sua interezza, mentre da vicino, alla stessa stregua di una tela divisionista, si percepisce il singolo gesto, il singolo timbro/pennellata. Il tutto, con un pizzico di sfida anche con se stesso, nello scegliere certi soggetti per capire come tecnicamente realizzarli, in quale maniera riuscire a riprodurre quella sfumatura, quell’ombra. Meticoloso sì, ma fondamentalmente meditativo. Ad esempio, il quadro col bosco che, col suo bianco e nero, fa sentire la frescura della macchia, il calore di un raggio di sole, il fruscio dei rami. Una quotidianità che diventa così un racconto autobiografico svolto attraverso le immagini. Per mantenere traccia di tutto il percorso, nello spazio espositivo, alla stessa stregua di un lavoro, sono stati lasciati il tavolo di lavoro, con colori, timbri, la sedia nonché il grembiule appeso a un chiodo, una tela volutamente non finita, che svela chiaramente la tecnica pittorica di Federico Pietrella.
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