La Nomas Foundation di Roma riapre le porte al pubblico con la mostra dedicata al progetto “ONE BY ONE” di Filippo Berta, a cura di Giorgia Calò e Francesca Ceccherini e vincitore della quinta edizione di Italian Council, il programma di promozione internazionale dell’arte italiana della Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura. Realizzato in partnership con l’Unità di Ricerca Aesthetics in the Social, DiSSE, Sapienza Università di Roma, il progetto ha potuto contare inoltre sul sostegno di numerosi attori internazionali, coinvolti lungo l’ambizioso viaggio compiuto dall’artista a partire dal 2019 – trentesimo anniversario dalla caduta del muro di Berlino – attraverso alcune zone nevralgiche del pianeta che ancora oggi sono caratterizzate dalla presenza di muri di confine. Il lavoro di Berta propone infatti una riflessione sulla dualità dell’elemento muro e su come questo, da dinamica geopolitica che coinvolge grandi collettività, si configuri anche come schema cognitivo invisibile e legato al singolo. All’ingresso ci viene consegnata una busta chiusa, con l’invito a tenerla con noi durante la visita e ad aprirla quando desideriamo.
La mostra si apre con una serie di mappe che ritraggono le tappe percorse dall’artista attraverso l’Europa orientale (Ungheria, Serbia, Slovenia, Croazia, Turchia, Macedonia del Nord, Grecia, Bulgaria), l’America (Stati Uniti e Messico) e infine l’Asia (Corea del Sud), seguendo il tracciato dei muri che ancora oggi dividono questi popoli. “Una ad una” sono infatti le punte del filo spinato che gli abitanti locali, sotto la guida di Berta, sono stati invitati a contare ad alta voce per interminabili minuti, creando così un’azione performativa corale. Un simbolo dell’infinito, sagomato con il tipico filo spinato militare “a concertina”, svetta come un cupo vessillo nella seconda sala, a simboleggiare come un simile conto non possa auspicare a una fine, così come l’innalzamento di muri da parte delle nazioni non sia di fatto terminato con la lezione del Novecento, soprattutto all’interno dell’Unione Europea – si tratta infatti di costruzioni recenti, avvenute dal 2010 in poi. Ribadendo la necessità di contenimento e controllo sulle migrazioni di questi popoli, l’Europa non sta forse perdendo il controllo sui valori democratici che oggi tanto propugna?
Da una parte e dall’altra di questi muri ci sono individui come noi, che Berta ha conosciuto uno per uno e che sono stati ritratti in una documentazione accurata e commovente. Un corridoio tappezzato di mani, immortalate nel gesto tautologico del conto, ci accompagna verso la sala finale – mani bianche e mani scure, mani di bambini e mani rugose, mani gentili di donne e mani di uomini segnate dalla fatica. La mostra si conclude con un’installazione video multicanale, un coro di persone che contano in più lingue come se recitassero un rosario, una preghiera laica. Ci raggiunge finalmente il significato profondo dell’azione: il conto diventa per queste persone un modo per prendere contatto con la realtà del muro e attivare una consapevolezza attorno ad essa. Paradossalmente, ciò che divide questi popoli è anche ciò che li accomuna e l’azione innescata dall’artista sancisce un legame che va oltre le barriere e le differenze etniche. Se c’è una speranza per queste persone, infatti, è proprio quella di prendere coscienza della problematica perdendosi nel mantra del conto. Ed è qui che, lasciandoci a nostra volta trascinare nella nenia del video immersivo, apriamo la busta: contiene una spina. Il problema, in fondo, è anche nelle nostre mani.
Al termine del suo percorso espositivo, l’opera sarà acquisita dalla GAMeC Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo.
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