Focus curatori in 22 domande: intervista a Davide Silvioli

di - 10 Novembre 2022

Prosegue il nostro “FOCUS curatori”, 22 domande (le stesse per tutti) destinate a curatori e curatrici spesso “outsider”, per raccontare attraverso declinazioni personali, caratteristiche, metodologie e modalità proprie della professione curatoriale odierna. Un mestiere relativamente nuovo che, nel corso di qualche decennio, ha cambiato radicalmente forma. Una pratica dinamica, basata su studio, fonti d’ispirazione e conoscenze interdisciplinari. Un ruolo di “cura” e responsabilità nei confronti degli artisti e delle loro ricerche, del pubblico, di attenzione ai cambiamenti nella società, nel dibattito sociale, politico e culturale del momento. La seconda puntata della nostra rubrica ha per protagonista Davide Silvioli, che abbiamo raggiunto per questa intervista (qui le altre puntate).

Alice Paltrinieri, veduta della mostra. Sottofondo Studio, Arezzo, 2021. Courtesy Sottofondo Studio e l’artista. Ph Andrea Severi

Come ti definiresti?

«Tendo a utilizzare la definizione di “critico d’arte contemporanea”. Credo racchiuda meglio la centralità che, per me, è rivestita dalla scrittura».

Dove sei nato e dove vivi?

«Sono nato a Spoleto, nell’appennino umbro, al centro dell’Italia. Dopo un lungo periodo a Perugia, vivo a Roma dal 2019».

Dove vorresti essere nato e dove vorresti vivere?

«Non cambierei il mio luogo di nascita, ricco di testimonianze artistiche, dalla preistoria alla contemporaneità, e immerso nella natura. Vorrei vivere a Genova; città delle mie penne preferite».

Quando hai capito che ti interessava l’arte?

«L’ho capito alle scuole superiori, avvertendo che la critica d’arte mi consentiva di scrivere nel modo per me più esaustivo possibile».

Quando hai deciso che avresti fatto il curatore?

«Indirettamente, l’ho deciso quando ho iniziato a interessarmi di critica d’arte, a 17 anni. Tuttavia, volevo solo scrivere e neanche conoscevo il mestiere del curatore».

Contemporary Ecosystems-a quest between art and ecology in North Macedonia. Roberto Ghezzi Antonio Massarutto, veduta della mostra. Museum of Contemporary Art, Skopje, 2022. Courtesy MoCA Skopje

Quali sono i libri che ti accompagnano nel tuo percorso professionale da curatore?

«Vedo la curatela come teoria applicata alla prassi. I libri di settore che mi accompagnano non sono i soliti decaloghi di buone pratiche curatoriali, che anziché fare critica fanno cronaca. Pertanto, cito “La linea analitica dell’arte moderna” di Menna, “Arte di frontiera” dell’Alinovi, “L’antiestetica” di Foster, “Inventario perpetuo” della Krauss, “Lo spazio dell’opera” di Esengrini. Molti sono motivati dal mio focus sull’interdisciplinarità».

Quali sono le fonti, gli autori e le opere extra-arti visive, di cui ti nutri nello svolgimento della tua attività scientifica?

«Fuori dalla letteratura d’arte, ma rimanendo in campo bibliografico, il mio punto fermo è “Passaggio a Nord-ovest” di Serres. Inoltre, guardo spesso a “Arte e scienza” di Feyerabend, “Frammenti sulla Natura” di Empedocle, “La natura delle cose” di Lucrezio”, “Pensare l’impossibile” di Boi, “Il metodo” di Morin, “Cos’è il naturale?” di Spaemann, “La fine delle certezze” di Prigogine, “Il presente non basta” di Dionigi».

Costellazione privata, Matteo Montani, veduta della mostra, Palazzo Collicola, Galleria d’Arte Moderna, Spoleto, 2022. Courtesy Palazzo Collicola e l’artista. Ph Vincenzo Alessandria

Qual è la mostra che ti ha segnato e perché?

«Probabilmente, “Arte cinetica e programmata”, alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, datata 2013. Qui, ho capito che la cosa che più mi interessa dell’arte è la sua facoltà di congiungere la pluralità dei saperi in una grammatica unica, che è a fondamento del mio interesse per l’interdisciplinarità».

Qual è l’opera d’arte che ti ha avviato nei sentieri della professione nelle arti visive?

«Tutto il lavoro di Francis Bacon. Nel luglio del 2008, fresco di diploma di liceo scientifico, andai a visitare l’antologica a lui dedicata a Palazzo Reale di Milano, poiché volevo vedere dal vivo le opere dell’artista che mi aveva convinto a intraprendere questa strada».

Genetica della forma, veduta della mostra (installazione di Medina Zabo), Palazzo Collicola, Piano Mostre, Spoleto, 2022. Courtesy Palazzo Collicola e l’artista. Ph Giulio Buchicchio

Quali artisti contemporanei che hai personalmente conosciuto sono stati importanti nell’avviamento della tua professione? E perché?

«Silvio Cattani, Carlo Dell’Amico, Stefano Di Stasio, Paola Gandolfi, Giuliano Giuman, Aldo Grazzi, Leonardo Nobili, Roberto Pibiri, Virginia Ryan, Franco Troiani, per avermi dato fiducia quando ero poco più che uno studente, permettendomi di crescere».

Quali sono stati i tuoi maestri diretti e/o indiretti nella curatela?

«Non ho avuto maestri. Quanto ho realizzato, soprattutto agli esordi, l’ho fatto buttandomi in acqua senza saper nuotare. Ai tempi degli studi, Giorgio Bonomi mi ha trasmesso cosa significasse fare ricerca nel contemporaneo. A ogni modo, negli ultimi tre anni, ho avuto collaborazioni di vario ordine con professionisti da cui, indirettamente, sento di poter trarre insegnamenti, quali Valentino Catricalà, Lorenzo Fiorucci, Davide Sarchioni e Marco Tonelli».

Giorgio Griffa-Tutti i pensieri di tutti, veduta della mostra, Palazzo Collicola, Piano Mostre, Spoleto, 2020. Courtesy Palazzo Collicola e Archivio Giorgio Griffa. Ph Marcello Fedeli

Con quale progetto hai iniziato a definirti curatore?

«È con la prima mostra curata a Milano e la prima a Roma, risalenti al 2018, che ho iniziato ad avere contezza di tale professione».

Qual è la tua definizione di curatore?

«Avverto la parola curatore come una contraddizione in termini. I significati di arte e cura, nella mia pratica, non si sposano. Il curatore è una figura che, nel compiere il proprio lavoro, prevalentemente teorico, intercetta lavori altrui e li immette negli argini dei propri interessi disciplinari, dando loro un’espressione ulteriore».

Qual è la tua giornata tipo?

«Trascorro la maggior parte del mio tempo al pc, a scrivere, leggere, cercare, a ricercare e riscrivere».

Hai dei riti particolari quando lavori?

«No, ma ho tre constanti: la solitudine, i libri e la caffeina».

C’è uno spazio per l’imprevisto nel tuo lavoro?

«Sì, mi lascio guidare dai cambi di programma. Anche nella costruzione di un testo o di una mostra, c’è sempre un margine di casualità determinante».

La fonte dell’opera, veduta della mostra, Consorzio La Giacinta, Roma, 2022. Courtesy gli artisti. Ph Enrico De Siero

Qual è il progetto, la mostra che hai curato che trovi più rappresentativa del tuo percorso scientifico?

«Sono più di una. Le personali di Giorgio Griffa (curata con Marco Tonelli) e di Matteo Montani, per il mio interesse verso l’astrazione. Quelle di Josè Angelino e di Alice Paltrinieri, per l’approfondimento dei nessi fra arte, tecnica, tecnologia, fisica. Le collettive “Genetica della Forma”, per l’esame di un diverso statuto estetico della categoria della forma, e “La fonte dell’opera”, per lo studio del rapporto fra natura e artificio artistico. Poi “Contemporary Ecosystems” (curata con Bojana Janeva), che ha analizzato la pratica artistica in relazione diretta con ecosistemi biologici».

A tuo avviso, qual è lo stato della critica d’arte in Italia?

«C’è un sostrato valido, composto da ricerche profonde e buona scrittura che, tuttavia, difficilmente emerge, sia in ambito indipendente che istituzionale. In generale, lo spazio riservato al ragionamento critico è sempre meno. In particolare, il Padiglione Italia di quest’anno, dove è proposta una sola opera di un solo artista, è specchio ufficiale della crisi di una critica incapace di agire come Logos, che non si fa carico di raccordare le disparità tipiche della biodiversità dell’arte».

Michelle Serres, Passaggio a Nord-Ovest. Frontespizio

Quali sono i tuoi riferimenti critici?

«Bello, Bruno, Danto, Esengrini, Farocki, Ferrari, Heinrich, Henry, Menna, Mirzoeff, Mitchell, Nemitz, Pinotti, Pirovano, Shusterman, Spaid, Talon-Hugon, Trini, Varnedoe, Vettese, Weintraub».

La mostra di un altro collega che avresti voluto curare?

«L’antologica di Olafur Eliasson a Palazzo Strozzi di Firenze, curata da Galasino; l’avrei impostata secondo un assetto differente e un taglio più puntuale sulle nozioni di tempo e natura».

Quale ritieni che sia il tuo più grande limite professionale?

«Si dice che nel mondo dell’arte le relazioni siano importanti. Di certo, non sono un animale sociale ma sento che questo mi dà molto di più di quanto mi limiti».

Progetti in corso e prossimi?

«Parteciperò a un convegno sui neologismi della critica d’arte. Sto seguendo la realizzazione di tre cataloghi e stanno per essere pubblicati due miei saggi, per due diverse case editrici. Circa le mostre, nel 2023, lavorerò a personali di Vincenzo Marsiglia, Petra Feriancová e a un progetto alla GAM di Roma».

Resistenze, José Angelino, dettaglio dell’allestimento, Palazzo Collicola, Piano Nobile, Spoleto, 2021. Courtesy Palazzo Collicola, Galleria Alessandra Bonomo, l’artista. Ph Eleonora Cerri Pecorella

Chi è Davide Silvioli

Davide Silvioli (Spoleto, 1989). Critico d’arte contemporanea, si è formato fra l’Università degli Studi di Perugia, l’Università LUISS di Roma, l’Università Tor Vergata di Roma. È assistant curator del Museo di Palazzo Collicola, a Spoleto. Collabora con il Dipartimento di studi letterari, filosofici e di storia dell’arte dell’Università Tor Vergata di Roma. È Accademico d’onore dell’Accademia di Belle Arti “Pietro Vannucci” di Perugia. È vincitore del premio per la saggistica Castiglioni Roversi 2022, indetto dall’Associazione Paolo Scheggi di Milano.

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