Nata nel 1951 per volere di Vittorio Cini, con lo scopo di ricordare il figlio Giorgio, è il primo esempio in Italia di realizzazione di un organismo privato che trova nella ricerca umanistica la sua finalità principale, in un periodo in cui al centro dell’interesse collettivo erano economia, scienza e tecnica.
La scelta operata da Vittorio Cini di collocare la Fondazione sull’Isola di San Giorgio Maggiore è dettata da una straordinaria intuizione. Eleggendo l’Isola come sede della Fondazione e ponendone il recupero e il restauro tra le finalità statutarie, Vittorio Cini candidava la sua creatura a erede di una tradizione secolare, attribuendole il ruolo storico e la vocazione dell’istituzione di cui intendeva raccogliere il mandato.
Una struttura che è riuscita a risolvere due dei più grandi problemi che affliggevano Venezia nel dopoguerra, l’esigenza di formazione professionale dei giovani e la mancanza di mezzi e strutture dedicate alla ricerca scientifica e culturale. Oggi la fondazione è un’istituzione culturale che continua a seguire la linea impostata dal suo fondatore, essendo allo stesso tempo un centro di studi, un luogo di incontri e dibattiti sulle questioni contemporanee, ma anche sede di interessanti mostre.
Una mostra collettiva che come poche altre si inserisce al meglio in un contesto così importante come quello delle Vatican Chapels, il primo padiglione della Santa Sede alla Biennale Esposizione Internazionale di Architettura – La Biennale di Venezia. Uno spazio di circa un ettaro e mezzo che accoglie 10 cappelle realizzate da 10 architetti internazionali. Un luogo sospeso nella laguna, tra acqua, cielo e terra, ideale per ospitare un padiglione votato alla riflessione e all’esperienza spirituale. La nuova mostra si inserisce in questo ambiente così suggestivo, arricchendolo.
Per raccontare questo viaggio introspettivo sono stati riuniti i lavori di dieci grandi nomi della fotografia mondiale – Don McCullin, Tim Davis, Marco Delogu, Graciela Iturbide, Vanessa Winship, Martin Parr, Annie Ratti, Guy Tillim, Paolo Ventura, Francesca Woodman – ciascuno posto in relazione con le architetture delle cappelle
Di recente apertura, lo spazio delle Stanze della fotografia ospitano la mostra Ugo Mulas. L’operazione fotografica sarà visitabile dal 29 marzo al 6 agosto, una mostra realizzata in collaborazione con l’Archivio Mulas e curata da Denis Curti e Alberto Salvadori, direttore dell’Archivio. Un progetto che coincide con i 50 anni dalla scomparsa dell’autore ed espone più di 300 immagini, tra cui 30 foto mai esposte prima d’ora, documenti, libri, pubblicazioni, filmati, in grado di restituire una lettura completa delle diverse esperienze affrontate da Ugo Mulas.
La profondità della “Quantità umana” è sempre stato il filo conduttore della ricerca trasversale di Mulas, senza dubbio tra le più importanti figure della fotografia internazionale del secondo dopoguerra.
Cosa significa essere fotografo? Per Mulas vuol dire fornire una testimonianza critica della società, ed è proprio questa consapevolezza che guida i suoi primi reportage tra il 1953 e il 1954.I temi sono i più disparati, esposti nelle 14 sezioni della mostra, dalle periferie milanesi, al teatro, dai ritratti di amici e personaggi della letteratura, del cinema e dell’architettura, alla pubblicità di moda pubblicando su numerose riviste come “Settimo Giorno”, “Rivista Pirelli”, “Domus”, “Vogue”. Sono gli anni in cui il fotografo sviluppa un’importante collaborazione artistica con Giorgio Strehler, grazie al quale pubblicherà le fotocronache “L’opera da tre soldi” (1961) e “Schweyck nella seconda guerra mondiale” (1962).
Vetro boemo: i grandi maestri a cura di Caterina Tognon e Sylva Petrová in collaborazione con il Museo di Arti Decorative di Praga sarà visitabile fino al 26 novembre presso le Stanze del Vetro sull’isola di San Giorgio. Una mostra che racconta l’emancipazione, a seguito della Seconda Guerra Mondiale, del vetro di Boemia dalla tradizionale categorizzazione in arte applicata e decorativa alla creazione di importanti sculture. Fu proprio in Boemia, una delle regioni dell’odierna Repubblica Ceca, che a partire dal XII secolo fecero la loro comparsa dei grandi innovatori che ampliarono il panorama dell’arte vetraria europea. La mostra presenta il lavoro di grandi personalità artistiche che, nate nelle terre ceche nei primi decenni del XX secolo, hanno visto le proprie vite scorrere di pari passo con le turbolente trasformazioni della società cecoslovacca.
Un percorso espositivo che porta il visitatore alla scoperta della giovane disciplina del “vetro d’artista”, con una serie di creazioni che nascono come esemplari unici e non come oggetti d’uso, proprio come è sempre stato in pittura e scultura.
Una mostra che racconta l’opera e la visione di Luciano Baldessari: architetto, designer, scenografo, figura eclettica e libera.Una tra le figure tra le più interessanti e in parte dimenticati – del XX secolo, sperimentatore coraggioso e anticonformista, la cui vita e carriera attraversano le Avanguardie storiche, tra Europa e Stati Uniti.
Da Rovereto, luogo di nascita e primissima formazione, con le lezioni di pittura da Fortunato Depero; a Vienna, dove compie gli studi tecnici; a Milano, come studente di architettura al Politecnico, dove si laurea nel 1922, e dei corsi di scenografia a Brera; nella vivace Berlino degli anni Venti, in cui la sua creatività esplode grazie alla vicinanza con grandi artisti, attori, scenografi e architetti dell’epoca, fino ad arrivare a New York negli anni Quaranta (1939-1948).
Le opere in mostra, parte della collezione del CASVA-Centro di Alti Studi per le Arti Visive del Comune di Milano, sono qui valorizzate dal progetto di allestimento a cura di Baldessari e Baldessari: una panoramica della produzione scenografica di Baldessari fra gli anni Venti e Quaranta che testimonia di committenze illustri.
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