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Francesca Leone, Ulteriori gradi di libertà, nella città che resiste – Gallerie d’Italia
Arte contemporanea
Ulteriori gradi di libertà, nella città che resiste.
Elementi che si sommano alla realtà, per darle linfa nuova.
Mentre tutto intorno è smog, disordine, pandemia.
Alle Gallerie d’Italia, nel cuore di Milano, l’artista Francesca Leone dialoga con lo spazio e gli conferisce una forma inedita, fatta delle sue linee, della sua immaginazione, di quei materiali di scarto di cui la città è piena e che nessuno sembra più considerare. Otto opere in cemento, ferro e lamiera si appropriano così della Sala delle Colonne e la animano con quegli stessi rifiuti – un tempo necessari – ora abbandonati, ridotti a brandelli arrugginiti. E allora non resta che recuperarli, accettarli in quella imperfezione, per donar loro ulteriori gradi di libertà.
C’è una superficie attraversata da circuiti elettrici che si trasforma in rilievo, quasi uno stiacciato realizzato con cura; c’è un grande rotolo di lamiere che emerge al centro della sala e ondeggia, screpolato, rivelando le cicatrici del tempo; e ancora un ritratto di famiglia, un soffitto in cemento, feltro e maglie di ferro tramutato, crollando, in un insolito tappeto. Come un moderno Tinguely, Francesca Leone stravolge la funzione di vecchi rottami e ridisegna, sognante, una città che resiste. I suoi materiali di scarto rievocano con forza gli antichi splendori – o quella vita che avrebbero avuto se, in passato, non fossero stati gettati via.
Ripensamento dello spazio, rinascita, attenzione per l’ambiente, troviamo tutto questo nella mostra di Francesca Leone. Ma non solo, perché, alle Gallerie d’Italia, i suoi lavori conversano silenziosi con due opere delle collezioni Intesa Sanpaolo, arricchendo quel dialogo desueto di una dimensione che è anche temporale. Prima con Dai gradi di libertà: recupero e reinvenzione (1975) di Ugo La Pietra, che dà il nome alla mostra e punta l’attenzione sui residui ammassati nella città; poi con Senza titolo (1948) di Mimmo Rotella, realizzato prima dell’invenzione di quei décollage che, dagli anni ’50, diverranno il suo inconfondibile marchio di fabbrica.
È tempo di rimodellare questo mondo effimero, distratto – senza negarlo.
Di creare qualcosa di nuovo, senza inventarlo del tutto.
Ulteriori gradi di libertà, nella città che resiste.